Introduzione
Prima di leggere e commentare le iniziali dieci proposizioni del De Deo, è utile citare un passo in cui Descartes vede il concetto di sostanza come intrinsecamente equivoco.
Quando noi concepiamo la sostanza, concepiamo solamente una cosa che esiste in tal modo da non aver bisogno che di sé medesima per esistere. Nel che può esserci dell’oscurità riguardo alla spiegazione di questa espressione: “non aver bisogno che di sé medesimo”; poiché, a parlar propriamente, non v’ha che Dio che sia tale, e non v’ha niuna cosa creata che possa esistere un sol momento senza essere sostenuta e conservata dalla sua potenza. Ecco perché si ha ragione nella scuola di dire che il nome di sostanza non è “univoco” riguardo a Dio e alle creature, cioè che non v’è nessun significato di questa parola, che noi concepiamo distintamente, che convenga nello stesso senso a lui e al loro; ma poiché tra le cose create alcune sono di tale natura da non poter esistere senza alcune altre, noi le distinguiamo da quelle che non hanno bisogno che del concorso ordinario di Dio, chiamando queste, sostanze, e quelle, qualità o attributi di quelle sostanze. (Cartesio, Opere filosofiche, 3, I principi della filosofia, 1, 51, Laterza, Bari, 1995, p. 47-48)
L’unica sostanza in senso proprio, tale in quanto non dipende da altro, è Dio, su questo il passo sopra citato di Cartesio non lascia dubbi ed è in sintonia con la tradizione, la “scuola” come il filosofo la chiama. Altrettanto tradizionale è la distinzione in due grandi categorie degli enti finiti, quella degli enti che per esistere devono inerire in qualcosa d’altro da sé (chiamati qualità o attributi, gli accidenti aristotelici), e quella degli enti che per esistere dipendono solo da Dio, soggetti e non oggetti di inerenza (le sostanze o enti individuali aristotelici). A questi ultimi, e solo a essi, il termine sostanza va attribuito in senso derivato. Questa impostazione viene rigettata con vigore e rigore da Spinoza, il quale, mantenendo il senso proprio di sostanza secondo la definizione terza di Etica I (ciò che è in sé ed è concepito per sé), non può che vedere nel concetto di sostanza creata una contraddizione in termini.
Che della sostanza si possa parlare in un solo senso, non comporta ancora che essa sia unica e in queste prime dieci proposizioni Spinoza procede senza presupporne l’unicità rimanendo in questo, sia pure temporaneamente, entro il solco della tradizione. Solo a partire dall’undicesima proposizione il filosofo porrà con forza la tesi dell’unicità della sostanza.
Le prime otto proposizioni affrontano i due concetti fondamentali di sostanza e di attributo e la loro relazione. L’immediato obiettivo di Spinoza è quello di dimostrare che non ci possono essere più sostanze dello stesso attributo e per farlo mette a fuoco due tipi di differenza, quella sostanziale (è il caso degli attributi, che non hanno nulla in comune fra loro e quindi si distinguono formalmente ma non numericamente) e quella modale (è il caso dei modi, che si distinguono fra loro relativamente in quanto affezioni di una stessa sostanza, aventi quindi una differenza numerica non sostanziale o reale). Si tratta di stabilire se la diversità degli attributi comporti o meno una diversità/molteplicità delle sostanze, cosa che sarà negata nelle proposizioni da 11 a 15. Le altre due proposizioni analizzate in questa parte (la 9 e la 10) mettono al centro il concetto di attributo e il grado di realtà posseduto da un ente.
Proposizioni 1 – 5
Prop. 1: Anteriorità logico-ontologica della sostanza rispetto ai modi
| Substantia prior est natura suis affectionibus | La sostanza è anteriore per natura alle sue affezioni |
Poche parole per questa proposizione che ha quasi l’evidenza di un assioma. La priorità della sostanza è affermata non rispetto ai suoi attributi, i quali sono lo stesso della sostanza, ma rispetto ai suoi modi o affezioni. È una priorità di natura logica (nell’ambito del pensiero) e ontologica (nell’ambito dell’essere), non cronologica; infatti, dal momento che la sostanza è in sé e i modi o affezioni sono in altro, questi non potrebbero essere senza la sostanza. È altrettanto evidente, peraltro, che anche la sostanza, al fine di non ridursi a vuota generalità o a un’esistenza indeterminata e amorfa, “deve” comportare l’infinita pluralità delle sue determinazioni modali.
È utile notare come la posizione spinoziana si differenzi da quella tradizionale. Anche questa afferma che non si possono porre gli accidenti (le affezioni) senza pensare primariamente la sostanza, ma ritiene che questa sia accessibile solo a posteriori, attraverso le sue affezioni, lasciando in tal modo in essa un qualcosa di intrinsecamente inattingibile e oscuro. Non così Spinoza, il quale impone che si debba sempre procedere dalla sostanza alle sue affezioni, rispettando la priorità logico-ontologica.
Questa proposizione ribadisce la struttura fondamentale dell’ontologia spinoziana, formata solo dalla sostanza e dai modi.
Prop. 2: Assoluta eterogeneità di sostanze con attributi diversi
| Duae substantiae, diversa attributa habentes, nihil inter se commune habent | Due sostanze che hanno attributi diversi non hanno nulla di comune tra loro |
Questa proposizione enuncia la differenza sostanziale fra le forme dell’essere. Se due sostanze avessero qualcosa in comune apparterrebbero al medesimo genere d’essere, sicché potrebbero comprendersi l’una per mezzo dell’altra, ma questo confligge con la definizione di sostanza, la quale impone che essa debba essere concepita sempre e solo per sé. Spinoza respingerà più avanti l’ipotesi che ci siano due o più sostanze aventi attributi differenti, per ora si limita a dimostrare che, nel caso esistessero, queste non potrebbero avere fra loro nessun rapporto causale, nessuna relazione, nessuna implicazione concettuale, trattandosi di esseri assolutamente eterogenei.
Prop. 3: Nessun rapporto causale fra cose assolutamente eterogenee
| Quae res nihil inter se commune habent, earum una alterius causa esset non potest | Delle cose che non hanno nulla in comune tra di loro, l’una non può essere causa dell’altra |
Se due cose non hanno nulla in comune fra loro, significa che il concetto dell’una non implica il concetto dell’altra. Ma il legame di causalità consiste proprio nel fatto che il concetto dell’una (la causa) implica il concetto dell’altra (effetto). Solo fra enti appartenenti al medesimo genere possono sussistere rapporti di causalità, ma, come dimostrato nella proposizione 2, due sostanze diverse sono qualcosa di assolutamente eterogeneo.
Prop. 4: Ci sono solo due distinzioni, quella formale e quella modale
| Duae, aut plures res distinctae, vel inter se distinguuntur ex diversitate attributorum substantiarum, vel ex diversitate earundem affectionum | Due o più cose distinte si distinguono tra loro o per la diversità degli attributi delle sostanze, o per la diversità delle affezioni di queste medesime sostanze |
Ci sono solo due tipi di differenze, quella che riguarda la diversità sostanziale e quella relativa alla molteplicità modale delle cose finite o affezioni. La diversità reale o sostanziale fra sostanze di attributi diversi è assoluta (niente in comune, nessuna relazione, nessuna causalità) mentre la molteplicità modale di sostanze con affezioni diverse è relativa (i modi si distinguono riguardo al loro genere comune e, entro tale ambito, interagiscono fra di loro).
Prop. 5: Impossibilità che due sostanze abbiano lo stesso attributo
| In rerum natura non possunt dari duae, aut plures substantiae ejusdem naturae, sive attributi | Nella natura non si possono dare due o più sostanze della medesima natura ossia del medesimo attributo |
Con questa proposizione Spinoza non giunge ancora dire che c’è solo una sostanza, ma può già concludere che, se ci sono più sostanze distinte, queste devono avere uno o più attributi differenti. Due sostanze distinte si distinguono sia secondo una distinzione reale sia secondo una distinzione modale; nel caso della distinzione reale, due sostanze che hanno uno stesso attributo o essenza (o un insieme di attributi) non sarebbero che una sostanza e non potrebbero essere in realtà due; nel caso della distinzione modale, le sostanze dovrebbero appartenere a un medesimo genere d’essere, ma questo è in contraddizione con la nozione di sostanza. Detto altrimenti: due o più sostanze non possono distinguersi che per i loro propri attributi.
Il senso di questa proposizione è che due enti la cui definizione coincide non sono distinguibili, quindi non sono due ma uno solo. Siamo nell’ambito di un razionalismo esasperato e rigoroso secondo il quale ogni dato empirico è irrilevante ai fini della distinzione fra due enti (ricordiamo il leibniziano principio degli indiscernibili): ciò che distingue due enti non è la loro collocazione temporale o spaziale, ma la loro definizione; non c’è ragione per cui due enti che hanno definizione identica debbano essere due. Ne segue che, essendo l’attributo ciò che costituisce la natura di una sostanza, per ogni attributo si dà una sola sostanza. Questo almeno finché non verrà dimostrato che in realtà non si dà e non può darsi che una sola sostanza.
Proposizioni 6 – 8
Nelle precedenti 5 proposizioni, come detto all’inizio, viene tematizzato il concetto di differenza relativa alle sostanze, agli attributi e alle affezioni o modi. Nelle proposizioni che analizzeremo ora prendiamo in considerazione tre caratteri della sostanza: 1) il non poter essere prodotta che da se stessa, 2) la sua eternità e 3) la sua infinità. Ma questa parte è importante soprattutto per il secondo scolio della proposizione 8 (che analizzeremo in profondità) in cui Spinoza affronta il problema della differenza numerica e mostra come tale concetto sia pertinente per i soli modi o affezioni, mentre è del tutto estraneo alla sostanza e ai suoi attributi. L’affezione non può essere colta in sé, ma sempre in riferimento all’unità della sostanza, perciò è sempre plurale e la sua molteplicità e diversità hanno un fondamento necessariamente estrinseco. Queste tre proposizioni aprono la strada a conseguimenti di straordinaria importanza: in primo luogo, l’esistenza di una diversità ontologica e intrinseca, quella degli attributi, consente di affermare che il molteplice non è solo fenomenico, ma anche metafisico; in secondo luogo, grazie a quanto detto nel già citato secondo scolio, viene denunciato l’abbaglio che noi prendiamo quando, guidati dall’immaginazione e non dall’intelletto, consideriamo sostanze ciò che invece sono cose finite (modi) o modalità d’azione dell’assoluto (attributi sostanziali).
Prop. 6: Nessuna sostanza è prodotta da altro da sé
| Una substantia non potest produci ab alia substantia | Una sostanza non può essere prodotta da un’altra sostanza |
Abbiamo accertato che non ci possono essere due sostanze con gli stessi attributi e che due sostanze con attributi differenti (se sono due non può essere altrimenti) non hanno nulla in comune e, conseguentemente, non possono entrare in un rapporto causale. Questo impone che non possa esserci causalità fra due o più sostanze. Una sostanza non può essere prodotta da nulla, visto che nella natura delle cose non c’è altro che sostanza e affezioni e che sarebbe assurdo che una sostanza fosse prodotta dalle sue affezioni. Detto altrimenti, una sostanza non può essere l’effetto di nient’altro che di sé. È necessariamente causa di sé. Questa proposizione, come nota Gueroult a pagina 122 del suo già citato commento al De Deo stabilisce indirettamente l’impossibilità di ogni creazione, visto che, tradizionalmente, creare significa produrre delle sostanze (le creature) da parte di un’altra sostanza (il creatore). Se invece le creature sono considerate non come sostanze, ma come dei modi, l’atto che le causa non ha più niente di incomprensibile, poiché, fra la causa e l’effetto c’è la comunanza di una medesima sostanza.
Prop. 7: Necessità dell’esistenza della sostanza
| Ad naturam substantiae pertinet existere | Alla natura della sostanza appartiene di esistere |
La sostanza è in sé il puro fatto di esistere, preso assolutamente al di fuori della relazione a qualunque altra cosa, coincide perciò con l’affermazione assoluta dell’esistenza di una natura qualunque. L’eternità altro non è che l’affermazione assoluta dell’esistenza, senza alcun riferimento a un limite o a una negatività. Se la sostanza non può essere causata da altro, allora essa sarà causa di se stessa, e dunque esisterà necessariamente.
Prop. 8: Necessità dell’infinità della sostanza
| Omnis substantia est necessario infinita | Ogni sostanza è necessariamente infinita |
Il secondo carattere proprio di ogni sostanza è l’infinità. Essa non può esistere come finita, in relazione a ciò che implica la definizione delle cose finite, cioè una comunità di natura o di attributo. Se una sostanza potesse essere finita, dovrebbe essere limitata da un’altra sostanza della stessa natura, ci dovrebbero quindi essere due sostanze finite della stessa natura, ciò che è impossibile per la proposizione 5.
Gli scolii della proposizione 8
Scolio 1: La sostanza come affermazione assoluta
Una sostanza è ciò a cui nulla manca, ciò di cui nulla può essere negato. Un modo è un qualcosa, un effetto, una parte della natura e in ciò non illimitato, ma determinato e può dunque essere detto parzialmente negazione: la sua essenza non è in quanto tale incompleta o imperfetta (in essa, presa a parte, non c’è alcuna negatività), ma essendo l’essenza di una cosa finita nel suo genere, e in ciò determinata o limitata, tutto ciò che essa non è, può essere di essa negato. Parzialmente negazione e non assolutamente negazione; per Spinoza non c’è che negazione parziale, il nulla non è mai pensabile se non in modo relativo. Questo scolio indirettamente dimostra che non ci sono sostanze finite: la sostanza è ciò che per natura esclude ogni finitezza, cioè una determinazione negativa che la limiti nel suo essere.
Scolio 2: Contro le “deduzioni confuse” dell’immaginazione
Per la straordinaria importanza di questo scolio ritengo necessario proporre il testo completo, sia pure spezzato in 2 punti, al fine di permettere un commento più agevole da seguire.
| Non dubito, quin omnibus, qui de rebus confuse judicant, nec res per primas suas causas noscere consueverunt, difficile sit demonstrationem Prop. 7 concipere; nimirum quia non distinguunt inter modificationes substantiarum, et ipsas substantias, neque sciunt, quomodo res producantur.
Unde fit, ut principium, quod res naturales habere vident, substantiis affingat; qui enim veras causas ignorant, omnia confundunt, et sine ulla mentis repugnantia tam arbores, quam homines, loquentes fingunt, et homines tam ex lapidibus, quam ex semine, formari, et, quascunque formas in alias quascunque mutari, imaginantur. Sic etiam, qui naturam divinam cum humana confundunt, facile Deo affectus humanos tribuunt, praesertim quamdiu etiam ignorant, quomodo affectus in mente producuntur.
Si autem homines ad naturam substantiæ attenderent, minime de veritate 7. Prop. dubitarent; imo hæc Prop. omnibus axioma esset, & inter notiones communes numeraretur. Nam per substantiam intelligerent id, quod in se est, & per se concipitur, hoc est, id, cujus cognitio non indiget cognitione alterius rei. Per modificationes autem id, quod in alio est, & quarum conceptus a conceptu rei, in qua sunt, formatur;
quocirca modificationum non existentium veras ideas possumus habere; quandoquidem, quamvis non existant actu extra intellectum, earum tamen essentia ita in alio comprehenditur, ut per idem concipi possint. Verum substantiarum veritas extra intellectum non est, nisi in se ipsis, quia per se concipiuntur.
Si quis ergo diceret, se claram, & distinctam, hoc est, veram ideam substantiæ habere, & nihilominus dubitare, num talis substantia existat, idem hercle esset, ac si diceret, se veram habere ideam, & nihilominus dubitare, num falsa sit (ut satis attendenti fit manifestum); vel, si quis statuat, substantiam creari, simul statuit, ideam falsam factam esse veram, quo sane nihil absurdius concipi potest; adeoque fatendum necessario est, substantiæ existentiam, sicut ejus essentiam, æternam esse veritatem. |
Non dubito che per tutti quelli che giudicano confusamente delle cose e non sono abituati a conoscerle mediante le loro cause prime sia difficile concepire la dimostrazione della Prop. 7; essi non distinguono, infatti, tra le modificazioni delle sostanze e le sostanze stesse, né sanno in qual modo le cose siano prodotte.
Onde avviene che attribuiscano falsamente alle sostanze un principio, che vedono nelle cose della natura; coloro, infatti, che ignorano le vere cause delle cose confondono tutto, e, senza che la loro mente vi ripugni, immaginano che parlino tanto alberi quanto uomini, e che uomini si formino tanto da pietre quanto da seme, e che una forma qualsiasi si tramuti in un’altra forma qualsiasi. Così pure, coloro che confondono la natura divina con l’umana attribuiscono facilmente a Dio gli affetti umani, specialmente finché ignorano ancora in qual modo gli affetti si producano nella mente.
Ma se gli uomini prestassero attenzione alla natura della sostanza, non dubiterebbero minimamente della verità della P7; anzi questa Proposizione sarebbe per tutti un assioma, e sarebbe annoverata tra le nozioni comuni. Giacché per sostanza intenderebbero ciò che è in sé ed è concepito per sé, vale a dire ciò la cui conoscenza non ha bisogno della conoscenza di un’altra cosa. E per modificazioni intenderebbero ciò che è in altro, e il cui concetto è formato mediante il concetto della cosa nella quale esse sono;
perciò possiamo avere idee vere di modificazioni non esistenti; giacché, sebbene esse non esistano in atto fuori dell’intelletto, tuttavia la loro essenza è compresa in un’altra cosa in modo che esse si possono concepire mediante questa cosa. Invece la verità delle sostanze fuori intelletto non è se non in loro stesse, perché esse si concepiscono per sé.
Se dunque qualcuno dicesse di avere un’idea chiara e distinta, cioè vera, di una sostanza, e di dubitare nondimeno che una tale sostanza esista, sarebbe, per Ercole, come se dicesse di avere un’idea vera, e di dubitare nondimeno che essa sia falsa (come risulta manifesto a chi vi presti sufficiente attenzione); ovvero, se qualcuno ammettesse che una sostanza è creata, costui ammetterebbe nello stesso tempo che un’idea falsa è divenuta vera; cosa, questa, della quale non si può concepire nulla di più assurdo; e perciò si deve necessariamente riconoscere che l’esistenza di una sostanza, allo stesso modo che la sua essenza, è una verità eterna. |
Questa prima parte dello scolio mette a fuoco la proposizione 7, quella in cui si afferma la necessità dell’esistenza della sostanza, una tesi che, per il filosofo, se si accetta la definizione di sostanza, dovrebbe avere l’evidenza di un assioma, senza bisogno di nessuna dimostrazione. Ma così non è e Spinoza vuole mostrare le ragioni di questa “cecità” intellettuale. I “ciechi” sono coloro che giudicano confusamente, guidati non dall’intelletto, ma dall’immaginazione. Avremo modo nel corso dell’analisi dell’Etica di parlare lungamente e in più luoghi di questa facoltà, necessaria, ma, se non correttamente imbrigliata, pericolosa per la sua capacità di fornire risposte frettolose e bizzarre ai problemi della conoscenza. La confusione a cui ci induce l’immaginazione riguarda tanto i piani della realtà, dato che ci rende incapaci di distinguere fra le modificazioni delle sostanze e le sostanze stesse, quanto la comprensione dei veri rapporti di causalità fra le cose, facendoci delirare sulle modalità di produzione delle cose. L’atteggiamento naturale della mente davanti al mondo ci porta a credere a quell’assurdità logico-ontologica di sostanza creata, a fantasticare di alberi parlanti o di uomini fatti di pietra (un riferimento solo alla leggenda di Deucalione e Pirra o anche al passo evangelico di Matteo, III, 9 in cui Giovanni Battista annuncia che “da queste pietre Dio può creare figli ad Abramo”?) o, infine, a trastullarci con metamorfosi stravaganti come quelle di Ovidio o quelle evangeliche (la trasformazione dell’acqua in vino). Ci porta a produrre quegli “errori” filosofici che sono la mitologia (sostanzializzazione di modi) e l’antropomorfismo (fare della sostanza un modo).
Si può concepire con verità un modo come non esistente, ma non si può concepire con verità una sostanza come non esistente. “Noi possiamo avere idee vere di modificazioni non esistenti”, ad esempio, l’idea vera del triangolo può essere data come esistente o come non esistente (la figura disegnata di un determinato triangolo qui e ora) senza che l’idea sia alterata o modificata per il fatto che la sua realtà è sottomessa a tale alternativa. Su questo leggiamo quanto scrive Martinetti:
L’esperienza ci mette in presenza di esseri limitati: questa limitazione è una negazione, una determinazione nel seno d’un essere più vasto: quindi dobbiamo riconoscere che il mondo degli esseri limitati presuppone un essere unico, illimitato, che è affermazione pura di sé, sostanza. Ora gli esseri limitati possono quando esistere, quando non esistere: appunto in quanto dipendono, quanto alla loro esistenza, dal vario agire della causa nella quale sono. Ma anche quando essi non esistono effettivamente (actu), hanno un’esistenza potenziale nella causa: e in questo rispetto possiamo avere una conoscenza vera delle loro essenze, anche se non esistono in modo concreto, fuori della loro causa. Si può concepire quindi che, nel loro riguardo, possa aversi una conoscenza vera dell’essenza, della natura d’una cosa, anche se la cosa non è in quel momento esistente. Ma la sostanza, che è in sé, non in altro, in che cosa potrebbe esistere potenzialmente? Quando perciò noi dalla considerazione degli esseri limitati siamo costretti a porre una sostanza che è a loro fondamento, non possiamo porre solo una essenza astratta, che potrebbe anche essere non esistente: all’idea nostra vera deve corrispondere un’esistenza effettiva e reale. Non sono dunque gli oggetti particolari e limitati che esistono veramente: ciò che veramente esiste è l’unica sostanza che li porta e li contiene in sé come sue parziali negazioni: anche se al nostro occhio essi, con la loro molteplicità e le loro apparenti opposizioni, velano la visione di quest’unità, che è la sola realtà veramente esistente e vivente.
E ancora, Deleuze in Spinoza et le problème de l’expression
Un’essenza di modo ha un’esistenza che non si confonde con l’esistenza del modo corrispondente. Un’essenza di modo esiste, è reale e attuale, anche se non esiste effettivamente il modo di cui essa è l’essenza. Da qui il concetto che Spinoza si fa del modo non esistente: questo non è mai qualcosa di possibile, ma un oggetto la cui idea è necessariamente compresa nell’idea di Dio, come la sua essenza è necessariamente contenuta in un attributo. […] L’essenza non è una possibilità, ma possiede un’esistenza reale propria: il modo non esistente non manca di niente e non richiede niente, ma è concepito nell’intelletto di Dio come il correlato dell’essenza reale (SPE, 174-175)
L’essenza dei modi non implica l’esistenza, essi hanno un’esistenza estrinseca e in questo sono parzialmente negazione. Non così la sostanza, la quale è il tutto, un’esistenza intrinseca e assoluta, in cui l’esistenza coincide assolutamente con la sua essenza. Questo rende assurdo, contraddittorio, avere un’idea vera di sostanza non esistente. L’idea di sostanza e la sua esistenza sono lo stesso, perciò l’idea di sostanza si impone necessariamente come vera, non può essere falsa né diventarlo.
| Atque hinc alio modo concludere possumus, non dari, nisi unicam, ejusdem naturæ, quod hic ostendere, operæ pretium esse duxi.
I. veram uniuscujusque rei definitionem nihil involvere, neque exprimere præter rei definitæ naturam.
II., nempe nullam definitionem certum aliquem numerum individuorum involvere, neque exprimere, quandoquidem nihil aliud exprimit, quam naturam rei definitæ. Ex. gr. definitio trianguli nihil aliud exprimit, quam simplicem naturam trianguli; at non certum aliquem triangulorum numerum.
III. Notandum, dari necessario uniuscujusque rei existentis certam aliquam causam, propter quam existit.
IV. Denique notandum, hanc causam, propter quam aliqua res existit, vel debere contineri in ipsa natura, & definitione rei existentis (nimirum quod ad ipsius naturam pertinet existere), vel debere extra ipsam dari.
His positis sequitur, quod, si in natura certus aliquis numerus individuorum existat, debeat necessario dari causa, cur illa individua, & cur non plura, nec | pauciora existunt. Si ex. gr. in rerum natura 20 homines existant (quos, majoris perspicuitatis causa, suppono simul existere, nec alios antea in natura exstitisse), non satis erit (ut scilicet rationem reddamus, cur 20 homines existant) causam naturæ humanæ in genere ostendere; sed insuper necesse erit, causam ostendere, cur non plures, nec pauciores, quam 20 existant; quandoquidem (per III. Notam) uniuscujusque debet necessario dari causa, cur existat. At hæc causa (per Notam II. & III.) non potest in ipsa natura humana contineri, quandoquidem vera hominis definitio numerum vicenarium non involvit; adeoque (per Notam IV.) causa, cur hi viginti homines existunt, & consequenter cur unusquisque existit, debet necessario extra unumquemque dari, & propterea absolute concludendum, omne id, cujus naturæ plura individua existere possunt, debere necessario, ut existant, causam externam habere. Jam quoniam ad naturam substantiæ (per jam ostensa in hoc Schol.) pertinet existere, debet ejus definitio necessariam existentiam involvere, & consequenter ex sola ejus definitione debet ipsius existentia concludi. At ex ipsius definitione (ut jam ex Nota II. & III. ostendimus) non potest sequi plurium substantiarum existentia; sequitur ergo ex ea necessario, unicam tantum ejusdem naturæ existere, ut proponebatur. |
E da ciò possiamo concludere in un’altra maniera, che non esiste se non una sola sostanza di medesima natura; cosa che ho creduto valesse la pena di mostrare a questo punto.
I. la definizione vera di ciascuna cosa non implica e non esprime altro se non la natura della cosa definita.
II. nessuna definizione implica ed esprime un numero determinato di individui, dato che essa non esprime altro se non la natura della cosa definita. Per esempio, la definizione del triangolo non esprime altro se non la semplice natura del triangolo; ma non un numero determinato di triangoli.
III. Si deve notare che di ciascuna cosa esistente ci deve essere necessariamente una causa determinata in virtù della quale essa esiste.
IV. Infine si deve notare che questa causa in virtù della quale una cosa esiste, o deve essere contenuta nella stessa natura e definizione della cosa esistente (in quanto, cioè, l’esistere appartiene alla sua natura), o deve essere data fuori della sua natura.
Ciò posto, ne segue che, se nella natura esiste un numero determinato d’individui, ci deve essere necessariamente una causa per la quale esiste quel numero d’individui, e non un numero maggiore né minore. Se, per esempio, esistono nella natura 20 uomini (suppongo, per maggiore chiarezza, che essi esistano nello stesso tempo e che prima non ne siano esistiti altri, nella natura), non sarà sufficiente (per rendere conto, cioè, del perché esistano 20 uomini), mostrare la causa della natura umana in generale; ma sarà inoltre necessario mostrare la causa per la quale ne esistono né più né meno che 20; giacché (per il Punto 3) di ciascuno ci deve essere necessariamente una causa per la quale egli esiste. Ma questa causa (per i Punti 2 e 3) non può essere contenuta nella stessa natura umana, giacché la definizione vera dell’uomo non implica il numero di 20; e perciò (per il Punto 4) la causa per la quale questi venti uomini esistono, e per la quale quindi esiste ciascuno di essi, deve essere data necessariamente al di fuori di ciascuno; e per questa ragione si deve concludere assolutamente che ogni cosa, della cui natura possono esistere più individui, deve necessariamente, affinché essi esistano, avere una causa esterna. Ora, poiché alla natura di una sostanza appartiene di esistere (in forza di ciò che già abbiamo mostrato in questo Scolio), la sua definizione deve implicare l’esistenza necessaria, e quindi dalla sua sola definizione si deve concludere la sua esistenza. Ma dalla sua definizione (come l’abbiamo già mostrato nei Punti 2 e 3) non può seguire l’esistenza di più sostanze; ne segue dunque necessariamente che non esiste se non una sola sostanza di medesima natura, come si affermava più sopra. |
A partire dall’esistenza necessaria di ogni sostanza, Spinoza mostra che si può dimostrare l’unicità della sostanza di uno stesso attributo. Tale dimostrazione si basa soprattutto sulle prime due note. La pluralità individuale, cioè la distinzione numerica, ha luogo ed è pensabile solo a livello dei modi, dal momento che essa implica l’esistenza fattuale o estrinseca. La definizione vera di una cosa (tranne che quella della sostanza) non riguarda l’esistenza della cosa, ma solo la sua natura, non dice se la cosa esiste (o che esiste), ma solo che cos’è (nota 1). Dal momento (nota 2) che riguarda solo l’essenza di una cosa, essa, non solo non dice se la cosa esiste, ma tantomeno dice in quanti esemplari esiste. L’esempio del triangolo è chiaro: dalla sua definizione non possiamo in alcun modo derivare quanti triangoli esistono (se esistono). Altrettanto chiaro è l’esempio della definizione di uomo fatto più avanti: nulla in essa ci dice che devono esistere 20 uomini (o un qualunque altro numero). Se questo è vero, se cioè la definizione o essenza nulla ha a che fare con l’esistenza, e se è vero che di ciascuna cosa esistente ci deve essere una causa (nota 3), allora la causa dell’esistenza di un numero determinato di esemplari deve essere esteriore alla definizione stessa (nota 4). Solo la definizione di sostanza rappresenta un’eccezione, dal momento che in essa è implicata l’esistenza. E l’eccezione è più profonda di quanto possa sembrare, dal momento che, e lo vedremo, la definizione non comporta che della sostanza esista un solo esemplare nel senso numerico del termine, ma che l’unicità della sostanza non ha nulla a che fare con il “numero”, il quale richiede sempre una causalità esterna. La causalità intrinseca della sostanza esclude la pluralità individuale, il numero. Come dice Macherey, la sostanza è in sé e non in numero. E sempre Macherey, 91: “Le sostanze della stessa natura non sono uno nel senso del numero 1″. Nel modo l’esistenza non coincide con l’essenza e ciò gli dà una vocazione plurale e lo consegna alla fatticità, alla relatività e alla temporalità. Mentre la necessità, eternità, assolutezza della sostanza la presenta come “una” nel senso di “totale”. La sostanza è non numerabile nel senso letterale del termine. Solo i modi possono essere parecchi di uno stesso genere, quindi (ed è una dimostrazione alternativa della proposizione 5) non ci possono essere più sostanze dello stesso genere.
Proposizioni 9 – 10
Queste due proposizioni preparano il passaggio dalla considerazione di molteplici sostanze all’unicità della sostanza, sostanza assolutamente infinita la cui esistenza necessaria sarà alla fine dimostrata nella proposizione 11.
Prop. 9: Correlazione fra grado di realtà e “numero” degli attributi
| Quo plus realitatis aut esse unaquaeque res habet eo plura attributa ipsi competunt | Quanto più realtà o essere ciascuna cosa possiede, tanti più sono gli attributi che le competono |
Viene stabilita una correlazione necessaria fra grado di realtà/essere, cioè di perfezione, di positività, e “numero” di attributi contenuti, questo in virtù della definizione 4: più una cosa ha realtà, più essa è percepita dall’intelletto sotto una diversità di forme o di essenze (estensione, pensiero, ecc). L’essere comincia a esprimersi, qui, dinamicamente, in termini di potenza attiva. Ritengo opportuno scrivere la parola “numero” fra virgolette, dal momento che, in base a quanto detto nello scolio 2 della proposizione 8 e ad altre osservazioni che faremo nel corso del commento, la pluralità infinita degli attributi non è pensabile in termini numerici, ma in termini “qualitativi”. Pluralità qualitativa o intensiva, piuttosto che numerica o quantitativa. Su questo torneremo.
Prop. 10: Concepibilità per sé dell’attributo
| Unumquodque unius substantiae attributum per se concipi debet | Ciascun attributo di una medesima sostanza deve essere concepito per sé |
L’attributo si concepisce in sé e per sé, ma non è in sé. L’attributo è “nella” sostanza, ma non nel senso dell’inclusione spaziale, è “della” sostanza.
Lo scolio della proposizione 10
Due attributi sono concepiti come realmente distinti, distinti qualitativamente, per natura. Questo non comporta che siano numericamente distinti, cioè che costituiscano più sostanze, come avviene in Cartesio, secondo il quale la distinzione reale fra cogitatio ed extensio comporta l’esistenza numericamente distinta di più res cogitantes e res extensae.
Il fatto che l’essenza di una sostanza si esprima attraverso una pluralità di attributi non affetta in nulla l’identità a sé della sostanza e nemmeno la reciproca autonomia dei suoi attributi. È perfettamente possibile e anche necessario pensare la diversità tendenzialmente infinita delle forme d’essere in una stessa sostanza senza per questo dividere la natura di questa sostanza, che resta fondamentalmente una, cioè identica a sé.(Macherey, 93)
Si tratta di comprendere assieme unità e diversità, senza confonderle né separarle. Mentre la sostanza esiste in sé e si concepisce per sé, l’attributo si concepisce per sé, ma non può esistere indipendentemente o separatamente dalla sostanza. Spinoza, tuttavia, non concepisce gli attributi come parti della sostanza infinita. Ogni attributo esprime l’infinità dell’unica sostanza secondo una determinazione particolare, ma è la stessa sostanza infinita e non una sua parte che viene intesa interamente ora come pensiero ora come estensione.