Prop. 11: Le prove dell’esistenza di Dio
| Deus, sive substantia constans infinitis attributis, quorum unumquodque æternam, & infinitam essentiam exprimit, necessario existit. | Dio, ossia la sostanza costituita da attributi infiniti, ciascuno dei quali esprime un’essenza eterna e infinita, esiste necessariamente. |
In questa proposizione Spinoza presenta, anche se in modo implicito, le prove dell’esistenza di Dio (Natura). Spinoza chiama Dio la sostanza “constans infinitis attributis”, ognuno dei quali esprime un’essenza infinita. L’infinitezza degli attributi va intesa secondo la potenza, non secondo il numero, perciò mi chiedo se non sia meglio tradurre “costituita da attributi infiniti” anziché “costituita da infiniti attributi”. Il plurale è un plurale qualitativo, intensivo, non quantitativo e numerico. Questa proposizione è accompagnata da 4 dimostrazioni successive.
Prima dimostrazione: per assurdo, basata sulla prop. 7, è esposta nella dimostrazione della proposizione 11.
Negare l’esistenza necessaria di Dio equivale a ritenere possibile la sua non esistenza e quindi, contro l’assioma 7, pensare che la sua essenza non implichi la sua esistenza. Ma Dio, per definizione, è sostanza e, in quanto tale, è causa di sé e quindi esiste necessariamente (v. prop. 7).
Seconda dimostrazione: per assurdo. È data nell’Aliter 1. L’argomento consiste nel mostrare che “esiste (tutto e solo) ciò che non ha nessuna ragione o causa che gli impedisca di esistere”, e che non può esserci nessuna ragione o causa che impedisca che Dio esista, o che sopprima la sua esistenza.
Ci DEVE essere sempre una causa o una ragione sia perché una cosa esista sia perché una cosa non esista. Questo comporta non solo che tutto ciò che esiste ha una ragione, ma anche che tutto ciò che “può” esistere effettivamente esiste. Viene bandito il possibile, ma non il contingente, cioè l’esistenza non per causa propria, ma per causa di altro. Il mondo spinoziano è deterministico non solo per ciò che riguarda l’esistenza, ma anche la non esistenza, la quale è altrettanto determinata dell’esistenza. La causa dell’esistenza (o della non esistenza) di qualcosa, o è nella natura della cosa o è fuori di essa. Si vedano i seguenti esempi.
- Cerchio quadrato: la natura (definizione) del cerchio contraddice quella del quadrato. Non esiste, quindi, in quanto affetto da contraddizione intrinseca o contraddizione in termini. Impossibilità logica di esistere.
- Sostanza: come già ampiamente dimostrato, la natura (definizione) della sostanza implica l’esistenza. Concepirla non esistente sarebbe contraddittorio, perciò esiste necessariamente.
In entrambi i casi sopra esaminati è interna o intrinseca alla natura della cosa sia la causa della non esistenza (il cerchio quadrato) sia la causa dell’esistenza (la sostanza).
- Un determinato triangolo: se esiste, esiste per una causa esterna alla sua natura (la sua definizione, infatti, non comporta la sua esistenza), ma anche se non esiste, non esiste per una causa esterna alla sua natura. Questa causa va trovata nell’ordine generale della natura corporea, cioè in una “trama” causale rigorosa e inderogabile, che non ammette sfilacciature (un’esistenza che poteva non essere o una non esistenza che poteva essere). Essendo l’universo concepito come una produzione ordinata secondo leggi, lo stato attuale di questa produzione spiega che tale cosa esiste e tale cosa non esiste. Questo rigido determinismo sembra esigere che la realtà non possa essere diversa da com’è. Già ho indicato come a mio avviso si debba intendere questo determinismo nel primo articolo dedicato all’analisi dell’Etica, a cui rimando.
Terza dimostrazione: È data nelll’Aliter 2. Per la potenza di esistere. Questa dimostrazione è definita da Spinoza “a posteriori”.
Appare indubitabile, cioè noto per sé, che poter non esistere è un’impotenza, mentre poter esistere è una potenza. Ora, le cose finite esistono, ed esistono necessariamente. Ebbene, se solo esse esistessero necessariamente, dovremmo pensare che gli enti finiti hanno maggior potenza dell’essere infinito, cosa palesemente assurda. Perciò, o non esiste nulla o l’essere assolutamente infinito esiste anch’esso necessariamente. Gli enti finiti, come è noto, non esistono per causa propria, ma per una realtà che esiste necessariamente e tale essere necessariamente esistente è Dio o la sostanza infinita.
Quarta dimostrazione. È contenuta nello scolio. Riprende la dimostrazione precedente, utilizzando non più la constatazione empirica dell’esistenza delle cose finite, ma principi logici generali.
Dal momento che poter-esistere è una potenza, ne segue che quanto più di realtà compete alla natura di una cosa tanto più capacità di esistere quella cosa ha in sé; e quindi ne segue che l’Ente assolutamente infinito, cioè Dio, possiede da sé un’assoluta infinita capacità di esistere, e perciò esiste assolutamente. È possibile, nota Spinoza, che questa dimostrazione, a causa dell’abitudine umana di considerare solo le cose prodotte da cause esterne, e in particolare le cose effimere (che si producono in breve tempo e altrettanto facilmente periscono), non sia colta con chiarezza. Mentre le cose ordinarie devono alla potenza della causa esterna che le ha prodotte ogni loro perfezione o realtà, la sostanza deve solo a se stessa la sua realtà o perfezione, compresa la sua esistenza. Ebbene, non possiamo essere sicuri dell’esistenza di nessuna cosa più di quanto lo siamo dell’esistenza dell’Essere assolutamente infinito, cioè di Dio, la cui essenza implica la perfezione e la potenza infinita.
Prop. 12: Indivisibilità della sostanza da parte degli attributi
| Nullum substantiæ attributum potest vere concipi, ex quo sequatur, substantiam posse dividi. | Non può essere concepito secondo verità alcun attributo della sostanza dal quale segua che la sostanza possa essere divisa |
La proposizione 12 dimostra l’indivisibilità della sostanza: la diversità degli attributi non rappresenta una molteplicità numerica, non comporta una divisione reale della sostanza. La dimostrazione ha il seguente andamento: se la sostanza fosse divisibile in parti, queste sarebbero a un tempo sostanziali e non sostanziali. Se sono sostanziali devono avere tutte le caratteristiche della sostanza ed essere quindi infinite, causa di sé e del tutto autonome e irriducibili le une alle altre. In altri termini, da una sola sostanza si formerebbero parecchie sostanze, ma questo è assurdo in base alla proposizione 6, la quale afferma che una sostanza non può essere prodotta da un’altra sostanza. La proposizione 2, inoltre, vieta che queste parti abbiano qualcosa in comune fra loro e qualcosa in comune con il tutto di cui sono parte, un tutto che potrebbe essere concepito anche senza queste ipotetiche parti. Questo, tuttavia, comporterebbe che tali parti non siano propriamente le parti di questo tutto, il che è assurdo. Potremmo concepire il tutto senza le parti o ciascuna delle parti senza il tutto, cosa assurda. Se invece le parti non sono sostanziali, allora la divisione della sostanza in parti le farebbe perdere la sua natura di sostanza e quindi la sua esistenza necessaria, ciò che è proibito dalla proposizione 7.
In sintesi, sostanza e divisibilità sono fra loro incompatibili. Questa tesi, perfettamente comprensibile all’interno del sistema spinoziano, servirà, come vedremo nel corollario della proposizione 16 e soprattutto nello scolio della proposizione 15, al momento di “giustificare” l’attribuzione alla sostanza divina dell’estensione, la quale, contro la tradizione filosofica che la considera infinitamente divisibile, sarà invece concepita da Spinoza come assolutamente indivisibile.
Prop. 13: Indivisibilità della sostanza, compresa la sostanza corporea
| Substantia absolute infinita est indivisibilis | La sostanza assolutamente infinita è indivisibile |
La dimostrazione di questa proposizione, che sembra riprendere nell’argomentazione la dimostrazione della proposizione precedente, si basa sulla proposizione 11 in cui venivano affermate l’infinità e la necessità di esistenza della sostanza. Qui il momento teorico importante si trova nel corollario, che riporto
| Ex quis sequitur, nullam substantiam, et consequenter nullam substantiam corpoream, quatenus substantia est, esse divisibilem | Da ciò segue che nessuna sostanza, e quindi nessuna sostanza corporea, in quanto è sostanza, è divisibile |
L’estensione, quindi la sostanza corporea, uno degli attributi della sostanza, eredita tutte le proprietà sostanziali (indivisibilità, unicità, necessità, infinità, ecc.). È chiaro che l’estensione non individua né un corpo determinato né la totalità o, meglio, l’insieme di tutti i corpi, ma intende un “genere” d’essere.
Lo scolio presenta una diversa dimostrazione di questa proposizione. Il punto di partenza è l’infinità della sostanza e l’intento di Spinoza è quello di mostrare l’incompatibilità dell’idea di parte (finita per definizione, dal momento che implica l’esistenza di una limite e di una conseguente esteriorità) e quella di sostanza (infinita per definizione).
Prop. 14: Unicità della sostanza
| Præter Deum nulla dari, neque concipi potest substantia | Oltre Dio non si può dare né si può concepire alcuna sostanza |
L’infinità degli attributi di Dio impedisce a ogni altra ipotetica sostanza di poter esprimersi/esplicarsi attraverso un attributo che le sarebbe proprio (poiché tutti gli attributi assolutamente appartengono a Dio, non ne resta nessuno che possa essere appannaggio di una seconda sostanza). Se potesse essere diversamente, ci sarebbero due sostanze che condividerebbero un attributo comune, cosa contraria alla prop. 5. Si dimostra poi, sempre per assurdo, che non si può concepire altra sostanza che Dio. Poiché bisognerebbe concepirla esistente. Ora, concepire una sostanza diversa da Dio come esistente renderebbe impossibile spiegarla in un modo qualunque. L’unicità di Dio non è direttamente dimostrata nella prop. 14 ma solo nel suo primo corollario: la prop. 14 ha il compito di dimostrare che nessun’altra sostanza oltre a Dio può essere concepita né può essere. Questo ha per conseguenza di mettere fine all’ipotesi iniziale di una molteplicità di sostanze: l’esistenza di una sostanza assolutamente infinita come Dio implica la non esistenza di ogni altra sostanza oltre a essa. Inoltre questa sostanza unica deve essere concepita come “complessa”, di una complessità qualitativa e infinita, gli attributi.
Corollario 1: l’impossibilità di concepire un’altra sostanza oltre a Dio implica che Dio è unico. L’infinita e irresistibile potenza di esistere di Dio implica la sua proprietà di essere “unico”, non nel senso numerico del termine (un solo esemplare), ma in quanto è “uno” come pura totalità senza esteriorità. La sua esistenza in quanto sostanza assolutamente infinita non lascia spazio a nessun’altra sostanza.
Corollario 2: il motivo di fondo è di nuovo quello dello statuto da accordare all’espressione “cosa estesa” applicata in particolare a Dio. Il punto di forza è quello di trattare in modo assolutamente equivalente i due attributi del pensiero e dell’estensione, e qualunque altro, cosa che prepara la prop. 15 e il suo lungo scolio sulla questione di Dio come cosa estesa. Pensiero ed estensione devono essere concepiti sia come attributi (e non come sostanze) di Dio, sia come modi di Dio (affezioni degli attributi di Dio). In entrambi i casi sono qualcosa di Dio. Non c’è nulla che sia esterno, che possa essere posto fuori di Dio, alla sostanza divina. Dio, essendo assolutamente infinito, non ha esterno (ed è in questo senso che tutto potrà essere detto “in lui”, o se si vuole “di lui”). Niente può essere o essere concepito praeter Deum, extra Deum, sine Deo (prop. 15). L’estensione si presenta a un tempo come attributo di sostanza (e a questo titolo è equivalente a ogni altro attributo, infinito, indivisibile, ecc.) e come molteplicità di affezioni di questo attributo (modi finiti e infiniti).
Prop. 15: Tutto è in Dio, anche l’estensione
| Quicquid est, in Deo est, & nihil sine Deo esse, neque concipi potest | Tutto ciò che è, è in Dio, e senza Dio nessuna cosa può essere né essere concepita |
La dimostrazione di questa proposizione si appoggia essenzialmente su quella precedente. Dio ingloba tutto, ma non nel senso di un’inclusione spaziale, di un dentro, di un contenente, idea che implicherebbe necessariamente quella di un’esteriorità al contenente, di un fuori. Nulla è esterno a Dio, Dio non ha esteriorità, tutto è “in” Dio.
Lo scolio di questa proposizione è uno dei più importanti della prima parte dell’Etica ed è dedicato a dimostrare l’inerenza a Dio (o alla sostanza) dell’attributo dell’estensione. Contro i pregiudizi dei filosofi e dei teologi, Spinoza afferma che Dio è “corporeo”, ma, contro i pregiudizi del volgo ribadisce che Dio non è o non ha un “corpo” nel senso empirico o modale del termine.
Spinoza di fatto non dedica spazio alla confutazione della concezione antropomorfica di Dio e si concentra sulla pertinenza o meno dell’attributo “estensione” a Dio, confutando i due argomenti tirati in ballo dagli avversari. Secondo loro, pensare la sostanza corporea divisa in parti implica negare che essa sia infinita e che quindi possa appartenere a Dio. Partendo poi dall’assunto della somma perfezione di Dio, si deve ammettere che Dio non può patire, ma la sostanza corporea, in quanto divisibile, può patire, pertanto non può appartenere all’essenza di Dio. Spinoza vuol mostrare che questi due argomenti si fondano su presupposti sbagliati: la composizione in parti della sostanza estesa e la divisibilità della stessa.
Se l’essenza della materia è individuata nella sola estensione, allora non si può che ammettere l’impossibilità del vuoto, il quale sarebbe un’estensione priva di materia, cioè un’estensione priva di estensione, cosa di per sé assurda. L’impossibilità del vuoto comporta l’indivisibilità dell’estensione e la sua non distinzione in parti. Spinoza intende qui per divisione una distinzione reale fra le parti della materia. Come si legge in Scribano “se una parte della materia venisse annientata, infatti, al suo posto vi sarebbe estensione, ovvero altra materia, e se un corpo fosse diviso in due parti, tra le due parti vi sarebbe altra estensione, ossia altra materia. In questo modo si sarebbe bensì diviso quel singolo corpo, ma non l’estensione di cui ogni corpo è una modificazione particolare. Sono i singoli corpi, ossia i modi dell’estensione, che possono essere divisi, ma non l’estensione in quanto è una sostanza, come la dimostrazione delle proposizioni dodicesima e tredicesima aveva già chiarito”.
Se la divisibilità della materia estesa è una fallacia logica, perché l’uomo vi cade in modo spontaneo e pressoché universale? Qui Spinoza porta sul banco degli imputati la facoltà che è da lui individuata come la maggior responsabile di tutti gli errori in cui la mente può incorrere, l’immaginazione, incapace di pensare correttamente l’infinito. A noi la materia appare come un aggregato di corpi e quindi come intrinsecamente divisibile. Ma leggiamo Spinoza:
Se, dunque, consideriamo la quantità così com’è nell’immaginazione, cosa che facciamo spesso e più facilmente, la troveremo finita, divisibile e composta in parti; ma se la consideriamo com’è nell’intelletto, e la concepiamo in quanto sostanza,il che è cosa difficilissima, allora, come abbiamo già abbastanza dimostrato, la troveremo infinita, unica e indivisibile. (Etica, I, scol. Prop. 15)
Tra le “parti” della materia non vi è distinzione reale, ma distinzione modale
Per esempio, noi concepiamo che l’acqua, in quanto è acqua, si divide e le sue parti si separano le une dalle altre; ma non in quanto è una sostanza corporea; come tale, infatti, essa non comporta né separazione né divisione. Parimenti, l’acqua, in quanto acqua, si genera e si corrompe; ma in quanto sostanza, non si genera né si corrompe. (Etica, I, scol. Prop. 15)