5 – Analisi dell’Etica di Spinoza. Etica I: La natura naturante – (Proposizioni 16-20)

Le proposizioni XVI – XX riguardano Dio o la Natura come Natura naturante o causa prima. Mentre le prime tre proposizioni di questo gruppo concernono i caratteri generali dell’azione divina (in quanto causa efficiente, necessaria, prima e libera), le ultime due hanno invece come tema l’eternità e l’immutabilità dell’azione divina in ciascuno dei suoi attributi.

Prop. XVI: La necessità della natura divina e ciò che ne deriva

Ex necessitate divinae naturae, infinita infinitis modis (hoc est, omnia, quae sub intellectum infinitum cadere possunt) sequi debent. Dalla necessità della natura divina devono seguire infinite cose in infiniti modi (cioè tutte le cose che possono cadere sotto un intelletto infinito).

In questa proposizione, oltre a mostrare che tutto segue con necessità dalla natura divina, viene anche affermata la perfetta coincidenza fra ciò che da questa natura segue e ciò che è contenuto nel suo intelletto. Essere causa necessaria significa che tutto ciò che può derivare dalla sua natura ne deriva non per un atto della volontà o dell’intelletto, ma per la sola potenza di quella natura. Nulla a che vedere, pertanto, con il tradizionale atto creativo.

Nella dimostrazione Spinoza si serve del principio secondo il quale, come da una cosa qualunque derivano necessariamente degli effetti, così dalla sua definizione derivano necessariamente delle proprietà. È la ben nota corrispondenza fra piano logico e piano ontologico. Così il verbo sequi, di uso molto frequente nell’Etica, indica questa necessità operante su questi due piani. Altro punto essenziale della dimostrazione è la proporzionalità fra grado di realtà di una cosa e quantità/qualità di conseguenze ed effetti implicati/prodotti. La natura divina, concepita necessariamente come infinita, non può non produrre un’infinità di cose in modi infiniti.

Questa proposizione è corredata di tre corollari, intesi come conseguenze logiche di quanto in essa affermato. Il primo afferma che Dio è la causa efficiente di tutte le cose che possono cadere sotto un intelletto infinito o, altrimenti detto, di tutto ciò che può derivarsi dall’idea di Dio. Il secondo mette in evidenza che Dio non è causa accidentale, ma causa in sé, causa propria di effetti conformi alla sua natura e non causa fortuita di effetti eterogenei. Il terzo corollario, infine, ribadisce che Dio è assolutamente causa prima, causa che non dipende da alcun’altra precedente e dalla quale dipendono invece non solo il produrre, ma anche l’essere, delle cause seconde. Dio agisce, produce, con la stessa necessità con la quale esiste: in lui, essenza, esistenza e causalità sono una sola e identica cosa. Questo vuol dire che Dio è causa di tutte le cose nello stesso senso in cui è “causa di sé”, che è a un tempo ragion d’essere dell’infinità delle cose e causa intelligibile o principio di queste stesse cose.

Prop. XVII: Sulla “libertà” di Dio

Deus ex solis suae naturae legibus et a nemine coactus agit Dio agisce mosso soltanto dalle leggi della sua natura, e senza essere costretto da alcuno

È la più importante proposizione fra le cinque qui analizzate, anche a causa dei due corollari e dello scolio che la corredano. Qui viene precisato ciò che bisogna intendere con “libertà” di Dio. Nessuna teologia o filosofia ha, naturalmente, mai messo in dubbio che Dio sia libero, ma è sul contenuto e sulla natura di tale libertà che sono sorte interminabili controversie. Tutte le azioni di Dio derivano dalle leggi della sua natura e tali azioni sono necessarie nel senso che sono determinate, ma non costrette, dalle leggi della sua natura. Essere libero significa proprio questo: non agire secondo arbitrio o ad libitum, ma secondo natura, una libertà intrinseca, non contro natura.

Oltre a ciò, come viene affermato nel primo corollario, nulla esiste che possa determinare Dio ad agire. Né cause esterne, essendo tutte le cose in Dio e non avendo egli nulla di esterno, né cause interne, se con queste si intende la sua volontà. Dio non può “volere” ciò che contrasta con la propria natura. Pertanto, come sottolinea il secondo corollario, solo Dio è causa libera, perché solo lui esiste e agisce per la sola necessità della propria natura. Libertà significa in senso stretto autodeterminazione, essere determinati da sé e solo da sé, dalla propria natura e potenza. Il contrario, essere eterodeterminati, determinati da cause esterne e da ciò che non appartiene alla propria natura, è la costrizione.

E veniamo all’importante scolio di questa proposizione, che ha per tema il modo in cui va compresa la libertà di Dio. Obiettivo polemico del filosofo è l’idea di un libero arbitrio divino, di una volontà concepita come potere arbitrario. Questa del resto è la concezione sostenuta dall’opinione corrente e dalla maggior parte dei teologi e dei filosofi. Ritenendo la necessità il contrario della libertà, essi la attribuiscono alle creature, agli effetti della creazione, alla natura naturata, non al principio produttivo o natura naturante, ritenuto sommamente libero. Questo errore nasce, chiarisce Spinoza, se si concepisce la necessità alla stregua di quella che appartiene ai modi finiti, come necessità esterna. Se attribuita a Dio, tale necessità comporta una limitazione del “potere” creativo, una costrizione esercitata su Dio, una sua sottomissione. Si pensa che un Dio che non può “fare ciò che vuole” sia un Dio limitato.

Vi è un’altra fallacia ancora più assurda, quella di pensare la libertà di Dio come possibilità di far sì che le cose che seguono dalla sua natura, siano o non siano. Dio, secondo l’opinione di molti filosofi può impedirsi di produrle. Ebbene, scrive Spinoza, è possibile impedire che la somma degli angoli interni di un triangolo non sia uguale a un angolo piatto? Credere che Dio possa non produrre tutto ciò che ha la potenza di produrre è un’assurdità di questo tipo. Alla natura di Dio non appartengono né un intelletto né una volontà, per quanto “sommo” possa essere ritenuto il primo o “sovranamente libera” la seconda.

Credendoli invece attributi di Dio, i filosofi ne traggono implicazioni insensate. Se, dicono, Dio avesse creato tutto ciò che è nel suo intelletto, avrebbe “esaurito” tutto il creabile e si sarebbe reso “impotente”. Perciò, continuano, egli non crea altro che ciò che vuole, libero da ogni costrizione.

Ma Dio non crea ciò che vuole, da lui “sgorga” tutto ciò che la sua potenza infinita necessariamente implica. L’onnipotenza divina è, è sempre stata e sempre sarà in atto. Pensare diversamente come fanno molti filosofi, significa addirittura negare l’onnipotenza di Dio. Per poter “salvaguardare” la perfezione di Dio e mantenere viva la sua libertà di continuare a creare, affermano che non può realizzare tutto ciò a cui si estende la sua potenza. Il Dio di questi filosofi sembra essere libero solo se “indifferente” all’esistenza o meno di un determinato “possibile”, lasciato al mero arbitrio. Per loro l’onnipotenza ha bisogno di un “resto”, di una riserva inespressa di possibilità non ancora realizzate. Ritengono che un Dio onnipotente debba “avere le mani libere” per fare ciò che vuole. Ma questo, in realtà, sarebbe un Dio impotente e perennemente affaccendato.

Prop. XVIII: Dio come causa immanente

Deus est omnium rerum causa immanens, non vero transiens Di tutte le cose Dio è causa immanente, non transitiva

Dio è causa che permane nel sussistere delle cose e non causa che “si ritira” da esse una volta causate. Dio è causa delle cose che sono in lui, causa immanente nel senso in cui è causa di tutto ciò che è, come essente in lui. Non è causa di nulla di esterno a lui. Del resto, non c’è altra sostanza che Dio, ma, se fosse causa transitiva, produrrebbe qualcosa di esterno a lui, qualcosa che sarebbe separato o altro da lui. Il che, non essendoci altra sostanza che quella divina, sarebbe assurdo.

Questa proposizione è servita a molti per decretare il panteismo di Spinoza, ma “panteismo” non significa tout court identità del mondo e di Dio. Già nel primo articolo, indagando il significato del Deus sive Natura ho in parte chiarito il senso in cui questa “identificazione” va intesa, ma tornerò in modo più approfondito su questo in futuri articoli. Per ora va sottolineato come contributo essenziale di questa proposizione sia, fra le altre cose, quello di aver nuovamente escluso l’ambiguo concetto di sostanza creata, come ciò che è in Dio e fuori di Dio. Più che il panteismo di Spinoza, questa proposizione è un caposaldo della sua concezione immanentistica.

Prop. XIX: Eternità di Dio e dei suoi attributi

Deus sive omnia Dei attributa sunt aeterna Dio [è eterno], ossia tutti i suoi attributi sono eterni

Nella proposizione XVII abbiamo visto che la “libertà” che tutti i filosofi attribuiscono a Dio è intesa da Spinoza in modo molto diverso dalla tradizione. Qui vediamo la stessa cosa con il concetto di eternità.

Anch’essa è attribuita a Dio da tutti, ma non c’è accordo su cosa ciò significhi. Spinoza ridefinisce l’eternità in termini di causalità necessaria e assoluta. Dio è eterno nel senso in cui la sua esistenza è una verità eterna, dato che segue dalla sua definizione come causa di sé. Gli attributi, implicando ciò che appartiene alla sostanza, devono essi stessi essere eterni. Dio è eterno sia dal punto di vista dell’essenza che dell’esistenza, che sono un’unica e identica cosa.

Lo scolio richiama due luoghi diversi dell’opera di Spinoza, la proposizione 11 dell’Etica, in cui dimostra l’esistenza di Dio come verità eterna, e la proposizione 19 della Prima Parte dei Principi della filosofia di Cartesio, dove mostra che Dio è l’ente supremamente perfetto e che esiste necessariamente. L’eternità di Dio è l’eternità dei suoi attributi infiniti e gli attributi non sono realtà seconde in rapporto a Dio.

Prop. XX: Identità di essenza ed esistenza in Dio

Dei existentia eiusque essentia unum et idem sunt L’esistenza di Dio la sua essenza sono una sola e identica cosa

Poiché la sua natura è costituita dalla totalità degli attributi, la totalità degli attributi di Dio deve implicare l’esistenza e pertanto tutti e ciascuno sono eterni. Nel primo corollario Spinoza precisa che, non solo Dio è eterno, ma che è anche una verità eterna. Nel secondo enuncia che, data l’eternità degli attributi, questi sono anche assolutamente immutabili.

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