Il problema dell’individuazione secondo Gilbert Simondon

Critica all’impostazione tradizionale del problema dell’individuazione

Le due vie tradizionali percorse per rispondere al problema dell’individuazione dell’essere sono il sostanzialismo e l’ilemorfismo. Sostanzialistico, ad esempio, è il monismo degli atomisti, per i quali l’essere, anche se appare “disperso” nell’infinita molteplicità degli atomi, in sé è unità, identità. Gli atomi, infatti, sono tutti uguali e si differenziano solo per la posizione in cui si trovano. Per tale concezione l’ontogenesi, il cui modello è l’individuo fisico, è una composizione di elementi: il dato iniziale, l’atomo, è già un essere individuato, mentre le cose reali, individui in senso derivato, appaiono come precarie, effimere combinazioni di atomi. L’aristotelismo, invece, per il quale l’individuo è sinolo, incontro di forma e materia, è l’esempio più noto di concezione ilemorfica. L’individuo è una “messa in opera”, il risultato dell’assunzione di una forma da parte della materia informe. In comune, queste due correnti, hanno la convinzione che esista un principio di individuazione che precede e guida l’atto di individuazione o, detto altrimenti, che si debba partire dagli individui costituiti e dati per risalire alle condizioni della loro esistenza. In esse si opera una sorta di rovesciamento del problema della genesi: ciò che va spiegato (l’individuo), viene assunto come principio di spiegazione, dal momento che il termine primo, che viene posto come l’explicans, la condizione per spiegare, ha già, in quanto termine, i caratteri dell’explicandum, è cioè già qualcosa di individuato (atomo, materia prima, forma).

Simondon enuncia un criterio utile a determinare che cos’è un individuo. Tutto ciò che in qualunque modo è relazionabile (supporto di relazione) ha già i tratti dell’individuo: l’atomo con altri atomi, la materia con la forma e viceversa. Quando i termini della relazione preesistono alla relazione, tali termini sono già in sé qualcosa di determinato, sono quindi enti individuali. Il problema dell’individuazione va allora pensato come la ricerca della possibilità di un particolare tipo di relazione fra “termini” che siano, non preposti, ma posti dalla relazione stessa. Nell’ottica della metafisica tradizionale l’individuo requisisce per sé l’essere nella sua totalità. L’essere è già compromesso, pregiudicato come essere determinato (Heidegger direbbe come ente). E il fatto di attribuire all’essere caratteri di eminenza, identità, permanenza, immutabilità, ecc., non lo sottrae alla sua condizione di “essere già qualcosa”, mentre degrada ciò che con esso si relaziona a mero ente derivato, creato, particolare, contingente, effimero. L’oblio metafisico della differenza ontologica, di cui parla Heidegger, cioè la riduzione dell’essere all’ente, altro non è che la precomprensione dell’essere come un ente determinato: l’essere e l’individuato sono lo stesso.

Il divenire come dimensione dell’essere

Simondon invece, pensando all’atto di individuazione senza accordare esplicitamente o surrettiziamente alcun privilegio all’individuato, sostiene una tesi radicalmente diversa: l’individuo è una realtà relativa, una fase dell’essere che presuppone una realtà preindividuale. In quanto tale, non esaurisce le potenzialità dell’essere preindividuale e non può mai essere colto come una realtà atomica, ma sempre come coppia individuo-milieu, termine che traduciamo non con “ambiente”, ma con “fondo”. Anche Simondon parla di ontogenesi, ma ne modifica il significato: non genesi dell’individuo, opposta alla filogenesi come genesi della specie (opposizione tributaria di una concezione sostanzialistica dell’essere), ma ontogenesi come divenire dell’essere. Che l’essere divenga è sempre stato il busillis [il termine era usato come esempio emblematico di una errata divisione: in diebus illis veniva inteso come in die Busilli(s)] della metafisica tradizionale: essere e divenire come due incompatibilità da risolvere, vera mina da disinnescare se si vuol salvare la coerenza stessa e del pensiero e della realtà. Ma dividere l’essere e il divenire è appunto la fallacia metafisica che Simondon contesta. In accordo con una linea laterale, ma non secondaria, della tradizione filosofica, Simondon sostiene che l’essere è divenire. Ma conviene leggere le sue parole:

È possibile supporre che il divenire sia una dimensione dell’essere, corrisponda a una capacità che l’essere ha di sfasarsi rispetto a se stesso, di risolversi sfasandosi; l’essere preindividuale è l’essere in cui non esiste fase; l’essere in seno al quale si compie una individuazione è quello in cui una risoluzione appare per la ripartizione dell’essere in fasi, ciò che è il divenire; il divenire non è un quadro in cui l’essere esiste; è dimensione dell’essere, modo di risoluzione di un’incompatibilità iniziale ricca di potenzialità. (G. Simondon, L’individuazione psichica e collettiva, Roma, DeriveApprodi, 2001: d’ora in poi IPC, n. pagina)

Analizziamo nel dettaglio questo complesso testo.

Il divenire non è un quadro in cui l’essere esiste”. Il divenire non è un ambito entro il quale l’essere esiste, ad esempio non è l’ambito mondano, temporale, contrapposto a un altro ambito in cui l’essere esisterebbe in senso proprio. Pensiamo a Platone come esempio: per lui l’essere ha due ambiti di esistenza, quello ideale, iperuranico, in cui vige l’eternità, l’identità, e quello reale, dove l’essere esiste nel tempo, appunto come divenire, e si dà come copia.

È possibile supporre che il divenire sia una dimensione dell’essere”. La dimensione è una mensura, non nel senso di misura quantitativa, ma in quello originario che risale al verbo latino metiri e al termine greco métis, abilità, versatilità. Il divenire è dunque una capacità, una potenza dell’essere, non una sua parte.

[È possibile supporre che il divenire] corrisponda a una capacità che l’essere ha di sfasarsi rispetto a se stesso, di risolversi sfasandosi”. La fase, dal greco phàsis, lo stesso del verbo phàino, è l’apparire, il manifestarsi. Nel suo originale significato indica ognuno dei diversi aspetti in cui ciclicamente appare un corpo celeste. Questa definizione di Simondon indica che l’essere è in se stesso il continuo succedersi di apparizioni, generate non da qualcosa a esse esterno, ma dalla stessa differenza intrinseca all’essere.

L’essere preindividuale è l’essere in cui non esiste fase”. L’essere preindividuale è l’essere che non appare, l’essere inesplicato (potremmo dire non attualizzato), ma non perché esso sia compatta, uniforme, identità di sé con sé.

L’essere in seno al quale si compie una individuazione è quello in cui una risoluzione appare per la ripartizione dell’essere in fasi, ciò che è il divenire; […]è dimensione dell’essere, modo di risoluzione di un’incompatibilità iniziale ricca di potenzialità”. Il divenire è il modo in cui l’essere preindividuale (questa incompatibilità iniziale ricca di potenzialità) si risolve. Deleuze parla di singolarità qualunque che gremiscono, come centri di intensità, il fondo preindividuale.

L’individuazione come “risoluzione” del problema del preindividuale

L’incompatibilità non è la contraddizione. Questa, infatti, ha un significato prettamente logico e il suo equivalente ontologico è l’impossibilità. Mentre la contraddizione annichilisce, annulla, l’incompatibilità mette in movimento, porta alla luce la differenza, “sfasa” l’essere rispetto a se stesso. Incompatibilità iniziale ricca di potenzialità, senza fase, inesplicata, è la virtualità, un nodo (una complicazione o addirittura una perplicazione) di singolarità incompatibili che, proprio a causa della loro incompatibilità, non può non risolversi, non sciogliersi, non estrinsecarsi, non esplicarsi, non attualizzarsi, non sfasarsi: un nodo incompatibile di differenze non può in alcun modo “essere”, deve necessariamente “divenire”. L’essere preindividuale non è un’identità che misteriosamente si conserva nel trascorrere dei suoi aspetti particolari, ma una complicazione il cui esplicarsi è necessario.

L’essere della metafisica tradizionale è lacerato da dualismi (vero e apparente, profondo e superficiale, possibile e reale, ecc.), dualismi in cui l’essere reale è sempre accompagnato come un’ombra dalla sua rappresentazione. L’essere per Simondon è invece un nodo che si scioglie, una complicazione che si esplica, una virtualità che si attualizza. L’individuazione, in quest’ottica, è una fase nell’essere, o meglio, dell’essere, un’esplicazione dell’essere. La cosa importante di questa concezione è che non si dà individuo come forma in cui l’essere si particolarizza (come un’immagine che si stacchi da uno sfondo), perché, se l’individuo appare, allora con esso appare sempre anche il fondo, cioè l’incompatibilità da cui risulta. Dire che l’individuo com-porta il fondo è ciò che intende Simondon quando afferma che “il divenire è una risoluzione delle tensioni prime e una conservazione di queste tensioni sotto forma di struttura.” (IPC, 13). Vedremo in un prossimo articolo che è lo stesso problema riguardante la Figura di Francis Bacon in quanto opposta all’immagine figurativa: il problema pittorico si risolve dopo aver distrutto lo spazio figurativo, in cui l’immagine-copia raddoppia, depotenziando, un modello (come la metafisica, che comprende l’ente creato a partire da un eminente ente creatore, o, platonicamente, l’ente reale come copia dell’ente ideale). La forma individuata si libera a partire da un’incompatibilità, esplica una tensione di forze  immobilizzandole in una struttura, complicandole in una forma, che non può che presentare e conservare in sé la stessa incompatibilità da cui è sorta, anche se tale incompatibilità viene “tradotta” nei termini propri dell’attualità. Riconosciamo, qui, una diversa formulazione dell’immagine come istante complesso (Bachelard) o dell’immagine dialettica (Benjamin).

L’essere preindividuale è un sistema sovrasaturo (la radice è satis, abbastanza), un sistema che ne ha abbastanza, che non ne può più, un sistema che è impensabile secondo il principio del terzo escluso (o è identità o è mera dispersione, molteplicità irrelata). Il carattere a-logos di questo sistema non è dovuto a una sua mistica e ineffabile superessenzialità, ma al fatto che la logica si applica solo a termini e relazioni, non a differenze, tensioni, intensità. Riguardo all’essere preindividuale, Simondon non parla né di unità, né di mancanza di unità. Esso è “au-dessus du niveau de l’unité”. “Più-che-unità” è una formula pregnante per definire la molteplicità virtuale, che potremmo trascrivere come “n – 1”, intendendo con ciò una molteplicità che non deve il suo concetto all’unità: la molteplicità virtuale non è la somma di unità, non è molteplicità numerica. Unità e molteplicità numerica sono concetti che si applicano solo alla fase dell’essere individuato: un individuo, molti individui.

Il preindividuale come sistema metastabile

La non comprensione della vera natura dell’individuazione è dovuta al fatto di considerare l’essere come un sistema in equilibrio, un sistema stabile, un sistema esaurito, scarico, in cui non c’è differenza di potenziale e tutte le possibilità si sono uguagliate. A questa stabilità si contrappone semplicemente l’instabilità, alla quiete il movimento: ecco il classico dualismo metafisico essere-divenire. L’essere preindividuale, in quanto più che unità, nel senso del tertium datur (non c’è solo o l’unità o la molteplicità, ma l’unità e la molteplicità) è un sistema che viola il principio del terzo escluso anche riguardo all’equilibrio, dato che esso non è definito dall’alternativa “o stabile o instabile”, ma appare nella paradossale condizione di essere “stabile e instabile” allo stesso tempo, stato che Simondon, mutuando un concetto dalla fisica, chiama “metastabile”. L’uso della terminologia scientifica va inteso in senso rigorosamente metaforico, così come le numerose analogie con fenomeni naturali alle quali ricorre Simondon. La metastabilità è la caratteristica propria di un sistema caotico o infinitamente complesso (complicato, incompatibile, ecc.), diverso sia dal sistema energeticamente esaurito sia dal sistema meccanico, tutto risolto nell’esplicazione di energia cinetica. Per sua stessa natura, il sistema metastabile è un problema in sé, non trovandosi in nessuno dei due stati di definizione, la stabilità e l’instabilità, nei quali la soluzione è già inscritta, e la sua soluzione è la forma individuale. Il processo di individuazione è descritto da Simondon in questi termini:

Allo stesso tempo in cui un’energia potenziale (ordine di grandezza superiore) si attualizza, una materia si ordina e si distribuisce (condizione d’ordine di grandezza inferiore) in individui che sono strutturati ad un ordine di grandezza medio. (IPC,16)

L’autore prende come esempio il processo di cristallizzazione: il sistema metastabile guida il processo, fornisce l’energia seguendo linee di forza che sono l’esplicazione di differenze di potenziale; la forma dei cristalli, tuttavia, non è la semplice esplicazione di queste forze, altrimenti ne sarebbe solo una mimesi, la traduzione mimetica di forze in una forma. Noi sappiamo, invece, che la forma va intesa come immobilizzazione di forze nell’attualità, secondo i criteri dell’attualità. Come istante complesso, direbbe Bachelard. Mentre la complicazione della virtualità non ha fase, pur essendo ciò che sfasa l’essere e lo porta all’apparire, la complicazione dell’attualità è la fase, cioè l’apparire della complicazione, il suo estrinsecarsi, processo che non può non avvenire se non nell’estensione, secondo i principi dell’estensione. Per visualizzare questo complicato discorso, Simondon osserva come la forma dei cristalli com-porti il sistema metastabile che l’ha prodotta, traducendone le potenzialità secondo le caratteristiche molecolari o atomiche degli elementi che si cristallizzano. Il carattere medio della forma cristallina non è affatto un compromesso fra energia e materia, ma energia immobilizzata, complicata non in quanto energia, ma in quanto materia, intensità tradotta, ma non dispersa, in “estensità”. Il neologismo francese extensité è usato da Deleuze in Differenza e ripetizione, nel capitolo Sintesi asimmetrica del sensibile.

La cristallizzazione ci offre un ottimo esempio di questo processo di individuazione, ma non ne può esaurire la ricchezza: l’individuazione fisica, la forma cristallina, pone in effetti l’accento, più che sul processo di individuazione, sul risultato del processo. È la forma vivente, invece, che è vero e proprio teatro di individuazione, luogo di individuazione permanente. Questo ha un significato molto preciso che dobbiamo indagare. Se abbiamo ben compreso il preindividuale come un sistema metastabile, come un sistema di incompatibilità da risolvere, possiamo intendere l’individuazione come la soluzione di un problema. Il problema è il preindividuale, il sistema incompatibile, la soluzione è l’individuo. Ogni forma individuata è una soluzione, in quanto risolve una singolarità in determinazione individuale. La forma vivente risolve il problema in modo diverso da come lo fa la forma fisica.

Qui introduciamo un nuovo concetto, quello di modulazione, strettamente connesso al concetto di fase. Nel suo significato proprio la modulazione è una tecnica di variazione dei segnali. Un segnale è una qualunque forma di energia che varia in funzione del tempo, la cui variazione comporta un’informazione; se la variazione del segnale riproduce proporzionatamente l’informazione da trasmettere, si parla di segnale analogico, se l’informazione deriva invece da una sequenza determinata di 0 e 1, segnale assente o presente, basso o alto, si parla di segnale digitale. Nella modulazione, un’onda elettromagnetica, chiamata portante, viene variata in uno dei suoi parametri, in base ai valori assunti da un’altra onda, chiamata modulante (la modulazione d’ampiezza varia l’ampiezza della portante, la modulazione di frequenza ne varia la frequenza, e così via). La forma fisica è adattativa, la modulazione che la genera avviene una volta, nell’estrinsecarsi del germe cristallino, poi si ripete senza rinnovarsi nella modellazione di questa prima genesi: è la mera esteriorità, per cui il suo crescere è puramente aggregativo e mimetico: il cristallo ripete in modo sempre uguale l’iniziale modulazione. La complicazione si risolve disperdendosi nell’esteriorità, nella semplice estensione: i potenziali si esplicitano e si esauriscono in dimensioni spaziali. La forma vivente, al contrario, è creativa, la modulazione che la genera si mantiene come legge immanente, tanto che, pur dandosi nell’esteriorità, come la forma fisica, essa è vivente solo nella misura in cui saprà resistere alla catastrofe della modulazione nella modellazione, e sarà anzi capace di amplificare l’individuazione che l’ha prodotta, il che significa, capace non solo di mantenere attivo il processo di modulazione, ma di rinnovarlo o di ripeterlo incessantemente.

La trasduzione

Un’altra delle nozioni “riformate” in profondità da Simondon è quella di informazione, non più intesa come un pacchetto precostituito da trasmettere da una fonte a un destinatario, ma come la tensione che si genera fra due reali disparati: l’informazione non è mai qualcosa di dato, ma sempre un passaggio dal metastabile allo stabile, un’esigenza di formazione, di individuazione. È ciò per cui l’incompatibilità di un sistema non risolto diventa dimensione organizzatrice nella soluzione. L’essere, in questa ontologia, non ha un’unità identica, ma trasduttiva, può cioè sfasarsi rispetto a se stesso. Così Simondon definisce la trasduzione.

Un’operazione attraverso la quale un’attività si propaga in ogni punto all’interno di un dominio, fondando questa propagazione su una strutturazione del dominio operata localmente: ogni regione strutturata serve come modello e principio alla regione seguente. (IPC, 24-25)

La trasduzione è una propagazione che struttura, che forma, che individua, non in base ad una legge trascendente il sistema, ma immanente, tale per cui un’organizzazione locale diventa il principio di una nuova riorganizzazione complessiva del sistema. È un concetto simile a quello di “prossimità assoluta” di Bacon. È un’onda di individuazione, un’informazione, un dar forma non in base ad un modello o ad istruzioni esterne, ma in base alla variazione interna del sistema. È un’individuazione in progress. La trasduzione, allora, è un’apparizione correlativa di dimensioni (nel senso già indagato di mensura) e di strutture, il prender-corpo di singolarità.

Se la relazione ontologica è la non-identità dell’essere in rapporto a sé, la trasduzione è l’operazione che attualizza le relazioni ontologiche, l’operazione che esplicita la differenza dell’essere nella molteplicità degli individui e delle relazioni fra individui, l’operazione dell’essere completo, perché non prevede né un originario essere preindividuale a se stante né un derivato essere individuale semplicemente esistente, tale cioè da consistere al di fuori delle cause che lo hanno prodotto, mera contingenza obbligata a fondarsi in una trascendenza ipostatizzata. La trasduzione, insomma, richiede un sistema in equilibrio metastabile, cioè un sistema che possieda un’energia potenziale che può essere liberata solo con il sorgere di una nuova struttura. L’energia non si scarica, non si degrada in mero cinetismo, il sistema non risolve il problema dissolvendosi, ma creando nuove strutture, che sono, a loro volta, nuovi problemi. Qui è fondamentale leggere le parole di Simondon.

L’operazione della “prise de forme” [della presa di forma, di individuazione] si produce in progressione [non è un evento che avviene una volta per tutte]; si può dire che il limite fra il germe strutturale [una singolarità dell’essere preindividuale] e il campo strutturabile [il campo di attualizzazione o di estrinsecazione] è un MODULATORE, l’energia di metastabilità del campo, dunque della materia, che permette alla struttura, quindi alla forma, di avanzare: i potenziali risiedono nella materia, mentre il limite tra forma e materia è un relais, un dispositivo, amplificatore. (IPC, 32-33). [Il relè è un dispositivo che, percepita una variazione avvenuta in un circuito di alimentazione o di comando, determina un’altra variazione in uno o più circuiti comandati, permettendo di utilizzare un segnale di piccola potenza per agire su un circuito comandato di potenza anche molto maggiore].

È un passaggio fondamentale: mentre la teoria tradizionale dell’individuazione pone l’accento sulla dualità forma-materia, quella proposta da Simondon focalizza il limite, la soglia fra forma e materia. Nel primo caso l’individuazione è una modellazione: una sostanza recettiva acquista una forma da una sostanza produttiva, questa funge da modello alla prima, individuare significa qui plasmare l’ente secondo un modello trascendente. Nel secondo caso l’individuazione è una modulazione: l’operazione fondamentale non è più quella di imprimere, ma quella di variare, per cui l’individuazione non consiste più nel particolarizzare un’identità preesistente, ma nell’attualizzare una differenza immanente.

 

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