La proposizione 5 enuncia il principio della causalità interna all’attributo del pensiero e l’autonomia del pensiero rispetto ai suoi oggetti, la proposizione 6 generalizza il principio precedente estendendolo a tutti gli attributi i cui modi hanno come causa Dio, in quanto si considera soltanto sotto l’attributo di cui sono modi. Le due proposizioni confutano, rispettivamente, le tesi realista e idealista. La proposizione 7, la più importante delle tre prese qui in considerazione, afferma l’identità dell’ordine e della connessione vigente all’interno dell’attributo del pensiero e degli altri attributi di Dio, ordine e connessione che sono quelli causali. I modi di ogni attributo si generano all’interno di ciascun attributo secondo l’ordine e la connessione della propria causalità, che è la causalità di Dio, identica in tutti i suoi attributi. Spontaneità e autonomia, dunque, di ciascun attributo all’interno dell’unità della sostanza.
(5) Causalità interna all’attributo del pensiero e autonomia del pensiero rispetto ai suoi oggetti
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Esse formale idearum Deum, quatenus tantum, ut res cogitans, consideratur, pro causa agnoscit, & non, quatenus alio attributo explicatur. Hoc est, tam Dei attributorum, quam rerum singularium ideæ non ipsa ideata, sive res perceptas pro causa efficiente agnoscunt, sed ipsum Deum, quatenus est res cogitans. |
L’essere formale delle idee riconosce Dio come causa solo in quanto egli è considerato come cosa pensante, e non in quanto è spiegato mediante un altro attributo. Cioè, le idee tanto degli attributi di Dio quanto delle cose singolari non riconoscono come causa efficiente gli ideati stessi, ossia le cose percepite, ma Dio stesso, in quanto è cosa pensante. |
Con le proposizioni 5 e seguenti Spinoza prende in considerazione la produzione delle idee particolari e le loro cause, comprese nell’idea di Dio, tratta cioè dell’autonomia del Pensiero come causa delle “cose pensate”. È l’essere formale delle idee, le idee in quanto cose. Il filosofo si serve di una concettualità propria della filosofia scolastica medievale: con “essere formale” (esse formale) intende, non l’ideato, l’oggetto come termine del pensiero (esse objectivum nella terminologia scolastica), ma l’oggetto nella sua esistenza effettiva, nel suo esistere fuori dalla mente. Nel caso in esame, Dio stesso in quanto cosa pensante e non in quanto oggetto del pensiero. Al tempo di Spinoza, tale terminologia era stata ripresa da Cartesio, il quale chiama realtà formale quella delle idee come modi cogitandi e realtà oggettiva quella delle idee in quanto rappresentano un oggetto, in quanto cogitatum. Nella prima accezione del termine “idea”, quella del modus cogitandi, tutte le idee hanno la stessa natura, nella seconda accezione, invece, quella della realtà oggettiva, del cogitatum, le idee sono profondamente diverse fra loro: le idee che rappresentano sostanze hanno più “realtà oggettiva” di quelle che rappresentano accidenti o modificazioni, l’idea di Dio ha più realtà oggettiva dell’idea di una sostanza finita, e così via. È utile per la messa a punto di questa importante distinzione citare qualche riga della voce “Forma” dell’Enciclopedia Treccani online (http://www.treccani.it/enciclopedia/forma_res-0d760c25-8baf-11dc-8e9d-0016357eee51_%28Enciclopedia-Italiana%29/)
Descartes specifica che per lui la realtà oggettiva di un’idea è “l’entità della cosa rappresentata dall’idea, in quanto questa entità è nell’idea”, laddove l’essere formale è “l’essere della cosa nell’oggetto dell’idea tale quale noi lo concepiamo”. Quindi l’essere è oggettivo in quanto contenuto di conoscenza, e formale in quanto in sé. Per Spinoza l’essere formale delle idee è modus cogitandi, cioè ha per causa Dio in quanto res cogitans, e l’essere formale delle cose ha per causa Dio in quanto res extensa; quindi ci sono due modi formali, ma un unico essere.
La nozione di essere formale si applica senza eccezione a tutte le cose, idee comprese, per esprimere il fatto che esse sono determinazioni di un certo genere d’essere. Le idee, come scrive Gueroult, “sono innanzitutto cose o realtà del pensiero, modi di questa cosa fisicamente reale che è l’attributo Pensiero” (v. M. Gueroult, Spinoza. II – L’âme, Aubier, Paris, 1974, p. 57). La realtà delle idee, il loro essere formale, non riguarda quindi il loro ideato, ma la sola potenza produttrice dell’attributo Pensiero, nella sua autonomia di causa produttrice delle idee.
L’importanza di questa proposizione sta nel fatto che, nel mentre stabilisce l’autonomia assoluta dell’attributo Pensiero nella produzione dei suoi modi (le idee), contemporaneamente rifiuta la spiegazione realistica della produzione delle idee, intesa come azione esteriore dell’oggetto sul soggetto conoscente. Pensando alla conoscenza come rappresentazione, infatti, abbiamo la tendenza a dimenticare che le idee sono esse stesse delle “cose” e non riflessi prodotti dagli oggetti. Vale la pena, per aiutare la comprensione di questa proposizione, rimandare alle definizioni 3 e 4 del De Mente riguardanti i concetti di idea e di idea adeguata.
Di questa proposizione Spinoza propone due diversi modi di dimostrazione. Il primo modo si appoggia alla proposizione 3, che stabilisce la necessità dell’idea di Dio. Dio forma le idee per il solo fatto che è cosa pensante e non in quanto oggetto della sua idea. In tal senso, idea di Dio va intesa nel senso del genitivo soggettivo (l’idea che Dio ha, che Dio produce) e non in quella del genitivo oggettivo (l’idea che rappresenta Dio). Il secondo modo di dimostrazione si sviluppa mostrando che le idee sono l’effetto solo dell’attributo pensiero preso assolutamente e di nessun altro attributo. Come ogni cosa singolare, le idee sono dei modi determinati dell’attributo pensiero. Dal momento che ogni attributo va concepito per sé, nessuna idea può implicare il concetto di un altro attributo, perciò, in quanto effetto, l’idea ha per causa solo l’attributo pensiero.
(6) I modi implicano esclusivamente il concetto del loro proprio attributo
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Cujuscunque attributi modi Deum, quatenus tantum sub illo attributo, cujus modi sunt, & non, quatenus sub ullo alio consideratur, pro causa habent. |
I modi di qualsiasi attributo hanno per causa Dio, in quanto è considerato solo sotto l’attributo di cui sono modi, e non in quanto è considerato sotto un altro attributo qualsiasi. |
La proposizione 6 generalizza i risultati della proposizione precedente per quel che riguarda l’ordine del pensiero. Nella prima parte dell’Etica (assioma 4 e proposizione 10) abbiamo visto che gli attributi si concepiscono ognuno per sé, senza ricorrere agli altri. Allo stesso modo, viene rimarcato qui, i rispettivi modi implicano il concetto del loro proprio attributo e non di un altro e, in quanto effetti, essi si spiegano interamente ed esclusivamente attraverso la loro causa propria, cioè attraverso il genere d’essere a cui appartengono.
Il corollario relativo a questa proposizione è particolarmente importante, perciò lo cito integralmente.
Da ciò segue che l’essere formale delle cose che non sono modi del pensare non segue dalla natura divina perché questa ha prima conosciuto le cose; ma le cose ideate seguono e sono concluse dai loro attributi nella medesima maniera e con la medesima necessità con cui, come abbiamo mostrato, le idee seguono dall’attributo pensiero.
Abbiamo visto nella proposizione precedente che le idee non sono causate dai loro oggetti (rifiuto della spiegazione realistica delle idee), ora Spinoza rifiuta anche la spiegazione idealistica degli oggetti delle idee: le cose che non sono modi del pensiero, come i corpi, non derivano il loro essere formale (la loro realtà effettiva) dalle idee o archetipi che Dio ne avrebbe anteriormente. È quanto sottolinea Gueroult:
In Dio le idee non sono la causa degli oggetti come gli oggetti non sono la causa delle idee e gli oggetti hanno, riguardo alle loro idee la stessa assoluta indipendenza delle idee riguardo ai loro oggetti. (M. Gueroult, Spinoza. II – L’âme, cit., p. 62-63)
Come le idee non si costituiscono nel modo infinito immediato quali rappresentazioni dei corpi, così i corpi non si costituiscono nell’attributo estensione in virtù di un’azione causale dell’idea; ma seguono dall’attributo estensione autonomamente, come le idee nell’attributo pensiero. (Spinoza, Opere (a cura di Filippo Mignini, trad. e note di Filippo Mignini e Omero Proietti, Mondadori, Milano, 2007, p. 1640, nota 18)
Le cose, che sono gli “oggetti” che fanno conoscere o percepire le idee, seguono da Dio, sotto un certo attributo, allo stesso modo in cui le idee, che sono esse stesse “cose”, seguono da Dio in quanto natura pensante. Dal punto di vista della loro produzione, dunque, c’è rigorosa concomitanza e assoluta autonomia fra le idee e tutte le altre cose (di tutti gli attributi). Non c’è quindi iato né temporale né ontologico in Dio fra il pensare le cose e il “produrle”. Tra l’ordine delle idee e l’ordine delle cose vi è una corrispondenza stretta senza causalità reciproca e ciò come conseguenza della loro radicale alterità (fra pensiero ed estensione non c’è nulla in comune).
Queste due proposizioni introducono alla proposizione 7, una delle più notevoli dell’Etica, in cui viene proposto il presunto parallelismo spinoziano.
(7) Identità fra ordine e connessione delle idee e ordine e connessione delle cose
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Ordo, & connexio idearum idem est, ac ordo, & connexio rerum. |
L’ordine e la connessione delle idee è lo stesso che l’ordine e la connessione delle cose. |
L’identità fra l’ordine e la connessione delle idee e l’ordine e la connessione delle cose è un’idea fondamentale dello spinozismo. Su di essa si basano i sostenitori del presunto parallelismo fra idee (pensiero) e cose (estensione). Parallelismo, va detto subito, che in realtà non trova alcuna giustificazione nella sua filosofia e che noi dobbiamo a un’arbitraria interpretazione dello spinozismo da parte di Leibniz. Spinoza, infatti, non ha mai parlato di due ordini equivalenti, ma di un solo e medesimo ordine, per cui questa proposizione va intesa nel seguente modo: l’ordine e la connessione delle idee non è nient’altro che l’ordine e la connessione delle cose (da intendere ovviamente anche in senso reciproco). Non c’è un ordine delle idee e uno delle cose, che si rivelano poi uguali o in stretta correlazione, ma lo stesso ordine vale tanto per le cose quanto per le idee che, come abbiamo visto nelle proposizioni precedenti, sono esse stesse “cose”. Del resto, come potremmo parlare di parallelismo fra due ordini, dunque di un dualismo, per la filosofia del più rigoroso fra i monisti? Va anche preso atto che Spinoza non parla di idee e corpi, ma di idee e cose (res), intendendo con tale termine ogni genere di cose, non solo quelle attinenti all’estensione (i corpi, per l’appunto). Nello scolio, come vedremo fra poco, Spinoza riformula l’ordine e la connessione delle cose come ordine e connessione delle cause, termine che usa anche nella dimostrazione della proposizione 9 di questa parte. Tale proposizione, allora, va così intesa: l’essere formale delle idee o le idee in quanto “cose” si producono secondo lo stesso ordine e la stessa connessione di quello di ogni altro genere di cose. La produzione di un’infinità di cose in un’infinità di modi secondo infiniti attributi è sottomessa a una sola e medesima causalità e a una comune necessità. Spinoza, nella dimostrazione delle proposizioni 19 e 20, parla esplicitamente di correlazione reciproca fra determinazioni corporee e determinazioni mentali, ma ciò va inteso come una conseguenza particolare dell’affermazione della proposizione 7, una conseguenza, quindi, che non ne esaurisce il contenuto razionale.
In che senso vanno intesi i concetti di ordine e di connessione? Per Macherey l’ordine corrisponde al punto di vista del modo infinito immediato, dunque a un punto di vista globale e “sinottico”, mentre la connessione fa riferimento al modo infinito mediato e prende in considerazione la totalità delle concatenazioni interne particolari. Perciò ordine e connessione non sono due sistemi indipendenti, ma uno solo secondo due punti di vista.
La breve dimostrazione di questa proposizione fa riferimento al quarto assioma della prima parte dell’Etica: l’idea del causato o dell’effetto dipende dalla conoscenza (o idea) della causa, esattamente come l’effetto dipende esso stesso dalla sua causa. Ciò significa che, quanto è dato nella realtà ha il suo equivalente nel pensiero, dal momento che il fatto d’essere e di essere pensato sono due facce della stessa medaglia.
Il corollario mette in evidenza l’identità fra la potenza di pensare e la potenza di agire di Dio. Ciò è ben sottolineato dalle parole di Macherey:
Tutto ciò che Dio produce dà, allo stesso tempo, un contenuto oggettivo alle idee che sono ordinate e concatenate dall’idea di Dio, con la stessa necessità di quella che governa la produzione dei loro ideati, a qualunque tipo di essere questi appartengano. (v. P. Macherey, Introduction à l’Ethique de Spinoza. La seconde partie: la réalité mentale, Presses Universitaires de France, Paris, 1997, p. 77 )
Questa tesi di Spinoza, cioè la conformità, l’adeguazione, fra idea e ideato, su cui tradizionalmente si regge la tradizionale definizione di verità, è da lui fondata sull’identità e sull’unicità dell’ordine causale di tutte le cose, qualunque sia il genere a cui queste appartengono. Questa conformità, quindi, non è dovuta a una qualche azione particolare delle cose sulle idee né tantomeno delle idee sulle cose.
Lo scolio ribadisce, problematizzandola, l’unità ontologica degli attributi in Dio. Per illustrarla Spinoza si serve dell’esempio del cerchio. Un cerchio che esiste nell’estensione e l’idea del cerchio che esiste nel pensiero sono una sola e identica cosa che si esplica attrverso due diversi attributi; sono quindi due cose prodotte secondo la stessa necessità, lo stesso ordine e la stessa connessione. Tale “correlazione” (identità?) fra un corpo e la sua idea prepara così la notissima concezione spinoziana della mente e del corpo dell’uomo esposta e spiegata nella proposizione 13 e nel suo scolio. La mente e il corpo di un uomo sono i due modi che gli corrispondono secondo due diversi attributi, identificati l’uno all’altro non tramite un’identità di essenza (differiscono essenzialmente tanto quanto differiscono fra loro gli attributi di cui sono i modi), ma tramite un’identità causale: sono “effettivamente” identici, essendo uno solo e il medesimo l’atto che li produce.
È utile concludere con questa nota di Mignini.
Punto fondamentale della filosofia spinoziana mai sottolineato abbastanza. Sotto il profilo ontologico, l’idea A e il corpo A sono una sola e medesima cosa, ossia un atto determinato della potenza della sostanza espresso sotto due attributi diversi. Così Spinoza supera il dualismo cartesiano e non ha più bisogno di spiegare come la mente e il corpo, che nulla hanno in comune, possano avere una qualche relazione fra loro. Il problema non si pone perché, non essendo il corpo e la mente due sostanze, sono una sola e medesima cosa che si esprime simultaneamente sotto due attributi diversi. (Spinoza, Opere (a cura di Filippo Mignini, trad. e note di Filippo Mignini e Omero Proietti, Mondadori, Milano, 2007, p. 1640, nota 20)