Lo scolio della proposizione 7 del De Mente ha messo in evidenza il fatto che le idee non sono solo pure idee o cose mentali, ma sono anche sempre idee di cose singolari. In quanto tali, esse possono essere di due tipi diversi, anzi, totalmente diversi, diversità che non riguarda il loro essere idee, dato che entrambe sono prodotti dell’intelletto infinito di Dio, ma la natura dei loro ideati. Avremo quindi “idee che si riferiscono a cose singolari non esistenti” (proposizione 8) e “idee che si riferiscono a cose singolari che esistono in atto” (proposizione 9). Queste due specie di idee si formano, come vedremo fra poco, sotto condizioni totalmente differenti.
Le idee di cose non esistenti, i cui ideati sono delle idealità, essendo prodotte direttamente nell’intelletto finito, sono le componenti immediate del suo ordine (ordo), e partecipano così della sua infinità; mentre le idee di cose che esistono in atto si riferiscono a esseri la cui esistenza è determinata da cause particolari, all’interno del concatenamento (concatenatio) reciproco che lega tutte le cose singolari finite le une alle altre in modo tale che nessuna di esse è causa libera della sua azione, ma esiste e opera solamente nella misura in cui essa vi è determinata mediatamente da altre, che lo sono ugualmente da altre ancora, e così via all’infinito. (P. Macherey, Introduction à l’Ethique de Spinoza. La seconde partie: la réalité mentale, Presses Universitaires de France, Paris, 1997, p. 82)
(8) Le idee dei modi non esistenti non possono implicare l’esistenza per la quale si dicono durare
| Ideæ rerum singularium, sive modorum non existentium ita debent comprehendi in Dei infinita idea, ac rerum singularium, sive modorum essentiæ formales in Dei attributis continentur. | Le idee delle cose singolari, ossia di modi non esistenti, devono essere comprese nell’idea infinita di Dio come le essenze formali delle cose singolari, ossia dei modi, sono contenute negli attributi di Dio. |
Cosa significa avere idee di cose non esistenti? Liberiamoci subito da un grave e fatale fraintendimento. Con la locuzione “cose non esistenti” Spinoza non intende in alcun modo ciò che non è ancora o ciò che è già stato e ora non è più. Non intende né una realtà passata né una realtà futura. Né tanto meno ha in mente ciò che può essere ma ancora non è, le cose possibili contrapposte alle cose effettive. Non esiste nella filosofia di Spinoza la dimensione della possibilità contrapposta a quella dell’attualità.
L’assioma 7 del De Deo ci fornisce i termini per la corretta comprensione di questo concetto. Richiamiamolo: “L’essenza di tutto ciò che si può concepire non esistente non implica l’esistenza”. L’idea di una cosa non esistente, allora, è l’idea che ha come ideato una cosa singolare colta solo dal punto di vista della sua essenza e questo, come ben sappiamo, è possibile solo per le realtà modali, non certo per la sostanza, per la quale essenza ed esistenza non sono separabili.
La proposizione, quindi, si riferisce a idee di realtà modali intese in quanto idealità e, al fine di una più pregnante comprensione, è utile considerare l’analogia evidenziata da Spinoza fra questo tipo di idee e le essenze formali, intendendosi con essenza formale tutto ciò che è compreso nell’idea di un attributo qualunque, nel senso che esso si deduce direttamente da questa idea come la conseguenza da un principio, senza che intervenga alcuna determinazione esterna. Le idee di cose non esistenti sono comprese nell’idea infinita di Dio, entro la quale solamente hanno realtà, allo stesso modo in cui le essenze formali delle cose singolari (o dei modi in generale) sono contenute negli attributi di Dio.
Tutto questo sembra molto astratto e necessita di un’illustrazione che aiuti a penetrarne meglio il senso. Leggiamo questa parte dello scolio.
Il cerchio, come si sa, è di natura tale che i rettangoli formati dai segmenti delle rette intersecantisi dentro di esso sono equivalenti; nel cerchio, quindi, sono contenuti infiniti rettangoli equivalenti: tuttavia di nessuno di essi si può dire che esista se non in quanto il cerchio esiste, e, parimenti, non si può dire dell’idea di alcuno di questi rettangoli che esiste, se non in quanto essa è compresa nell’idea del cerchio.
Fornendoci tale illustrazione Spinoza ci mette in guardia in via preventiva sulla sua insufficienza, essendo affetta da due tipi di difficoltà. La prima riguarda il fatto che essa si basa, per spiegare la coappartenenza fra proprietà e attributo del pensiero, su una figura geometrica, il cerchio, appartenente al genere d’essere dell’estensione; la seconda, che si ricorre, per illustrare ciò che è intrinsecamente unico (l’intelletto infinito o idea di Dio) a una figura, quindi a un ente che per natura esiste o può esistere in molti esemplari. Lo scolio allora spiega che
Le idee di cose considerate dal punto di vista delle loro essenze sono contenute o comprese nell’idea di Dio nello stesso modo in cui le proprietà di una figura geometrica sono date con la definizione di questa figura, il che è un altro modo per dire che esse ne seguono necessariamente, senza che ci sia bisogno per affermare queste proprietà di far intervenire la considerazione di una determinazione esterna. (P. Macherey, cit., p. 85)
Le idee di cose non esistenti sono “proprietà” dell’intelletto infinito, alla stregua delle proprietà di una figura geometrica o, detto altrimenti, tali idee e il genere d’essere o attributo della sostanza da cui dipendono si coappartengono.
Un’implicazione non banale di questa proposizione sta nel fatto che gli enti di cui si parla o idealità sono tutti quegli enti che rispondono unicamente alle proprietà che si deducono direttamente da un’essenza, senza dipendere da eventi indipendenti dalla loro natura. Il corollario, anticipando ciò che verrà affermato nella proposizione 9, mette in gioco la nozione di durata. Vediamolo.
Fino a quando le cose singolari non esistono se non in quanto sono comprese negli attributi di Dio, anche il loro essere oggettivo, cioè le loro idee non esistono, se non in quanto esiste l’idea infinita di Dio; e quando si dice che le cose singolari esistono non solo in quanto sono comprese negli attributi infiniti di Dio, ma in quanto si dice anche che durano, le loro idee implicheranno anche l’esistenza in virtù della quale si dice che durano.
Quando definisco una figura geometrica, definisco contemporaneamente anche le relative proprietà (l’una non può essere concepita senza le altre e viceversa). Ebbene, queste proprietà possono acquisire l’esistenza se io disegno questa figura. È evidente che tale accesso all’esistenza non è in alcun modo un effetto diretto della definizione, ma è dovuto a cause particolari che intervengono all’esterno di essa. È un altro modo per dire che nelle realtà modali l’esistenza non segue necessariamente dall’essenza. Il cerchio tracciato nello scolio ribadisce tale concetto.
Il tracciato geometrico evocato nello scolio è proprio un tracciato individuale, che potrebbe senza problemi, se le condizioni per farlo fossero date, essere riprodotto in molti esemplari sotto forma di nuovi tracciati che soddisfino la stessa condizione ideale, rappresentando la stessa proprietà del cerchio. (P. Macherey, cit., p. 90)
Ovviamente non si può parlare di due ordini successivi di realtà per le cose, quello dell’essenza e quello dell’esistenza. Non si può perché le essenze non sono pure possibilità o esistenze in potenza, ma realtà effettive. Essenza ed esistenza, per quanto riguarda i modi, corrispondono a maniere d’essere completamente distinte e ugualmente reali.
Se non c’è anteriorità dell’essenza in rapporto all’esistenza, nel senso di una relazione di successione che si inscriva nella durata, c’è primazia o priorità dell’essenza, nella misura in cui questa è compresa nell’ordine definito dal modo infinito immediato al quale essa appartiene. (P. Macherey, cit., p. 91)
(9) L’idea di una cosa singolare esistente in atto deve essere causata da un’altra idea di cosa singolare nella serie infinita delle cose singolari
| Idea rei singularis, actu existentis, Deum pro causa habet, non quatenus infinitus est, sed quatenus alia rei singularis actu | existentis idea affectus consideratur, cujus etiam Deus est causa, quatenus alia tertia affectus est, & sic in infinitum. | L’idea d’una cosa singolare esistente in atto ha Dio come causa, non in quanto è infinito, ma in quanto è considerato come affetto da un’altra idea di cosa singolare esistente in atto, della quale Dio è pure causa, in quanto è affetto da una terza, e così via all’infinito. |
Con la proposizione 9 passiamo dall’esame delle idee di cose considerate dal punto di vista della loro essenza a quella di idee i cui ideati sono cose che esistono in atto. Entrambi i tipi di idee, da un punto di vista formale, sono modi del pensiero, la cui origine è l’intelletto infinito di Dio. Tale aspetto va sottolineato per evitare di pensare che le idee di cose singolari esistenti in atto siano estrinsecamente determinate dalle cose anziché da Dio. Stabilito questo, la dimostrazione di questa proposizione mette in rilievo che si tratta comunque di idee ben distinte da quelle oggetto della proposizione 8. Dove sta la differenza fra questi due tipi di idee? Sta nel fatto che
Le idee di cose non esistenti sono idee di cose che non si condizionano relativamente fra loro come lo fanno invece nella durata che cose che esistono in atto. (P. Macherey, cit., p. 93)
La proposizione 9 passa dalla considerazione del modo infinito immediato (tutto ciò che ha per causa Dio in quanto cosa, res, assolutamente pensante) a quella del modo infinito mediato, che ha per oggetto la natura naturata distinta nei suoi concatenamenti interni, partendo dalle reciproche relazioni dei suoi elementi presi nella loro particolarità. Queste idee, insomma, a differenza di quelle trattate nella proposizione precedente che avevano uno statuto assoluto in quanto appartenenti all’ordine dell’intelletto divino, hanno invece uno statuto relativo, secondo una logica della connessione e della successione riguardante eventi che si situano nel contesto della durata. È ciò che intende il dettato di questa proposizione quando afferma il peculiare modo in cui Dio è causa di tali idee. Come si legge nella dimostrazione, Dio è causa di tali idee
in quanto è considerato come affetto da un altro ‹determinato› modo del pensiero; e anche di questo modo Dio è causa in quanto è affetto da un altro ‹determinato modo del pensiero›, e così via all’infinito. Ma l’ordine e la connessione delle idee sono (per P7) lo stesso che l’ordine e la connessione delle cause; dunque la causa d’un’idea singolare è un’altra idea, cioè Dio in quanto è considerato come affetto da un’altra idea, e anche di questa idea la causa è Dio in quanto è affetto da un’altra, e così via all’infinito.
Ritroveremo questa concettualità a partire dalla proposizione 14 del De Mente, in riferimento alla dottrina dell’immaginazione e del carattere intrinsecamente inadeguato della conoscenza basata su tali idee, conoscenza sempre relativa, parziale, incapace di esaurire la totalità delle affezioni con cui ha a che fare.
Di straordinaria importanza è l’implicazione di questa proposizione circa l’onniscienza divina. Dio conosce tutte le cose singolari esistenti in atto e conosce naturalmente anche tutto ciò che affetta tali cose. Ma la sua conoscenza è irrimediabilmente relativa e indiretta, non assoluta come nel caso della conoscenza delle cose non esistenti, dal momento che queste sono di natura tale che nulla le può affettare, essendo considerate solo dal punto di vista della loro essenza, sottratte quindi all’ordine della durata. Possiamo a questo proposito richiamare il caso dell’incidente mortale che capita a quella cosa singolare che è un uomo che passa per la strada colpito da una pietra caduta dal tetto, visto nell’Appendice al De Deo sul finalismo. Spinoza mostra come una conoscenza esaustiva, quindi assoluta di questo evento sia per chiunque obiettivamente e non solo soggettivamente impossibile. Ebbene, con la proposizione che stiamo analizzando il filosofo chiarisce che tale conoscenza non è solo impossibile per noi, a causa del carattere limitato del nostro intelletto. Lo è anche in Dio, per il quale la conoscenza degli eventi particolari è altrettanto necessariamente relativa, nella misura in cui essa passa sempre attraverso altre idee, dunque attraverso la conoscenza di altre cose e così via all’infinito. Si tratta di un limite della conoscenza divina? Certamente no, dato che Dio conosce le cose come effettivamente sono e le conosce
Assolutamente, quando la loro natura è assoluta, perché risultano direttamente dalla sua azione e sono colte dalla prospettiva del modo infinito immediato che comprende tutte le essenze di cose; relativamente, quando la loro natura è relativa, perché risultano mediatamente dalla sua azione, come è il caso di tutte le cose singolari che esistono in atto che si concatenano indefinitamente fra loro secondo la prospettiva propria del modo infinito mediato. (P. Macherey, cit., p. 96)
È quanto viene detto nel corollario di questa proposizione e nella relativa dimostrazione.
Di tutto ciò che accade nell’oggetto singolare d’un’idea qualunque è data in Dio una conoscenza, solo in quanto egli ha l’idea di questo oggetto.
Di tutto ciò che accade nell’oggetto d’un’idea qualunque è data in Dio un’idea (per P3) non in quanto egli è infinito, ma in quanto è considerato come affetto da un’altra idea di cosa singolare (per P9). Ma (per P7) l’ordine e la connessione delle idee sono lo stesso che l’ordine e la connessione delle cose; dunque la conoscenza di ciò che accade in un oggetto singolare sarà in Dio solo in quanto egli ha l’idea di questo oggetto.
La causa prima infinita, che entrava in gioco nella considerazione delle idee di cose non esistenti, passa ora in secondo piano a vantaggio dell’infinità delle cause finite che affettano ogni cosa singolare esistente in atto.