Inizia, con questo articolo, un’immersione filosofica nella trilogia Capitalismo e schizofrenia di Gilles Deleuze e Félix Guattari (d’ora in avanti D&G): L’Anti-Edipo (1972), Millepiani (1980) e Che cos’è la filosofia? (1991). Questi testi hanno rivoluzionato il pensiero contemporaneo, proponendo una filosofia radicalmente alternativa alla dialettica hegeliano-marxista e alla psicoanalisi freudiano-lacaniana. Il progetto di D&G ruota attorno a tre tesi provocatorie: il desiderio non è mancanza ma produzione materiale di realtà; il capitalismo è un sistema di flussi decodificati (energie sociali liberate da vincoli tradizionali – il capitalismo scioglie i legami feudali, religiosi, familiari rigidi, ma poi cattura queste energie “liberate” in nuove forme di controllo); la schizofrenia, più che patologia clinica, è il limite verso cui tende il capitalismo stesso.
Il tragitto filosofico mette in gioco anche un serrato confronto critico con due pensatori che hanno radicalizzato o contestato Deleuze e Guattari da prospettive opposte. Slavoj Žižek, da posizioni lacaniane, accusa D&G di vitalismo ingenuo e di misconoscere la negatività costitutiva del soggetto. Nick Land, accelerazionista radicale, sostiene invece che D&G non abbiano spinto abbastanza lontano la loro intuizione: occorre accelerare il processo capitalistico fino al collasso, verso forme post-umane e xenogeniche. Ma entreranno in campo anche tre accelerazionisti di sinistra – Nick Srnicek, Mark Fisher e Alex Williams – con proposte più in sintonia con D&G.
Attraverso l’analisi ravvicinata dei testi e il ricorso sistematico a casi cinematografici (da Lynch a Cronenberg, da Žuławski a Ōtomo), intendo esplorare questioni decisive: cos’è una macchina desiderante? Come funziona l’assiomatica capitalistica? Cosa significa deterritorializzazione? Il capitalismo può essere superato accelerandolo? Esiste un’alternativa alla dialettica? Un percorso impegnativo ma imprescindibile per chiunque voglia comprendere le coordinate filosofiche del presente. I saggi teorici saranno intervallati da recensioni filosofiche dei film analizzati, dove i concetti prenderanno corpo visivo attraverso le opere di registi che hanno saputo portare sullo schermo le tensioni e le contraddizioni del capitalismo contemporaneo.
Prima di addentrarci nell’Anti-Edipo, dobbiamo comprendere il terreno polemico su cui D&G costruiscono il loro progetto filosofico. Non vedono la psicoanalisi come una teoria della mente da discutere, ma come il sintomo di una precisa configurazione storica, il luogo in cui si manifesta il modo in cui il capitalismo produce e gestisce la soggettività. Criticare la psicoanalisi significa quindi, simultaneamente, criticare il capitalismo stesso. Per questo motivo, una comprensione minimale dell’apparato psicoanalitico freudiano-lacaniano è indispensabile, non solo perché D&G dialogano costantemente con Freud e Lacan, ma anche perché Žižek – uno dei nostri riferimenti critici – costruisce la sua intera filosofia a partire da Lacan, opponendosi radicalmente a Deleuze proprio su questo terreno.
Freud: l’inconscio edipico e la triangolazione familiare
Sigmund Freud (1856-1939) fonda la psicoanalisi sulla scoperta che la vita psichica non coincide con la coscienza. L’inconscio non è semplicemente ciò che non è consapevole, ma un sistema con proprie leggi, popolato da desideri rimossi, pulsioni, fantasmi. L’inconscio “parla” attraverso sintomi nevrotici, sogni, lapsus, atti mancati ed è strutturato come un teatro di rappresentazioni: i contenuti inconsci sono desideri che vengono rappresentati, rimossi, mascherati, simbolizzati attraverso immagini, scene, fantasie che nascondono desideri inaccettabili per la coscienza.
Uno dei centri nevralgici della teoria freudiana matura è il complesso di Edipo: ogni bambino attraversa una fase (approssimativamente tra i 3 e i 5 anni) in cui desidera il genitore di sesso opposto (il maschio desidera la madre), vive il genitore dello stesso sesso come rivale (il padre come ostacolo), teme la punizione per questo desiderio (la “castrazione” simbolica) e risolve il conflitto identificandosi con il padre e rinunciando alla madre. Questa configurazione triangolare padre-madre-bambino diventa, per Freud, la matrice universale della soggettività e struttura definitivamente la psiche attraverso la rimozione dell’incesto e l’introiezione dell’autorità paterna (Super-Io). Indipendentemente dalle culture e dalle epoche storiche, questa conformazione familiare fonda l’identità sessuale, il rapporto con la legge e l’intera vita affettiva del soggetto. Ogni desiderio adulto sarebbe una ripetizione, uno spostamento, una variazione di questa configurazione originaria. La conseguenza fondamentale è che l’inconscio freudiano è familiare: tutto ciò che desideriamo rimanda, in ultima istanza, a papà-mamma e la psicoanalisi legge ogni produzione dell’inconscio (sogni, fantasie, sintomi) come rappresentazione mascherata del dramma familiare.
Freud elabora almeno due diverse “topiche” della psiche. Nella seconda, distingue fra Es (Id), serbatoio delle pulsioni, energia psichica caotica governata dal principio di piacere; Io (Ego), istanza di mediazione tra Es, realtà esterna e Super-io; Super-io (Super-Ego), interiorizzazione delle norme sociali e genitoriali, censura morale. Cruciale è la concezione del desiderio: sempre desiderio di qualcosa che manca. Il bambino desidera la madre perché non può averla completamente, perciò il desiderio nasce dalla mancanza, dalla perdita, dalla castrazione simbolica. Questa logica della mancanza sarà uno dei bersagli principali di D&G.
Lacan: il desiderio come mancanza strutturale
Jacques Lacan (1901-1981) riformula radicalmente Freud attraverso lo strutturalismo linguistico. La sua tesi celebre è che l’inconscio è strutturato come un linguaggio: non un serbatoio di contenuti biologici o pulsioni naturali, ma un sistema simbolico che funziona secondo le leggi del linguaggio – metafora, metonimia, significante che rimanda ad altri significanti. Non esiste un “referente ultimo” del desiderio, solo una catena infinita di significanti che rinviano l’uno all’altro.
Lacan distingue tre dimensioni (o registri) fondamentali della realtà psichica. L’Immaginario, registro delle immagini, dell’identificazione, del narcisismo, dimensione in cui il soggetto si costituisce attraverso l’identificazione con immagini (prima fra tutte, quella del proprio corpo nello specchio – lo “stadio dello specchio”), regno delle relazioni duali, della completezza illusoria. Il Simbolico, registro del linguaggio, della legge, della cultura: l’ingresso nel Simbolico – che coincide con l’acquisizione del linguaggio e l’accettazione della “legge del padre” (la proibizione dell’incesto) – costituisce il soggetto umano come essere parlante inserito nell’ordine sociale. Infine il Reale, registro di ciò che sfugge sia all’Immaginario sia al Simbolico: non la “realtà” empirica, ma ciò che resiste alla simbolizzazione, l’impossibile, il traumatico, l’eccesso che nessuna rappresentazione può catturare.
Per Lacan, il soggetto, lungi dall’essere una sostanza o un’identità piena, è una mancanza, un vuoto che si costituisce nell’ordine simbolico. Il simbolo fondamentale del soggetto lacaniano è $ (soggetto barrato): il soggetto è essenzialmente diviso, scisso, mancante. Il desiderio lacaniano non è desiderio di un oggetto particolare ma desiderio del desiderio dell’Altro: desideriamo essere riconosciuti, essere l’oggetto del desiderio dell’Altro. Ma l’Altro stesso manca di qualcosa (l’Altro è barrato: Ⱥ), quindi il desiderio è strutturalmente inappagabile: non possiamo mai colmare la mancanza fondamentale. In questo quadro un concetto chiave è l’objet petit a (oggetto piccolo a), l’oggetto-causa del desiderio, mai raggiungibile, sempre sfuggente. Non è un oggetto empirico, ma la funzione di ciò che mantiene in moto il desiderio: ogni oggetto concreto che desideriamo è solo un sostituto temporaneo dell’objet a, il residuo inafferrabile della perdita originaria, il “qualcosa” che manca nel soggetto e che causa il desiderio, identificabile con parti del corpo (seno, feci, voce, sguardo) che rappresentano la separazione dal godimento totale e l’ingresso nel linguaggio, fungendo da punto di appiglio per il desiderio senza mai poterlo soddisfare.
L’ingresso nel Simbolico richiede l’accettazione della legge del Padre (o Nome-del-Padre: Nom-du-Père, che in francese suona come Non-du-Père, “no del padre”). Il padre simbolico è colui che separa il bambino dalla madre, introducendo il divieto dell’incesto e quindi la legge sociale. Lacan costruisce giochi di parole che funzionano solo in francese, ma rivendica l’universalità della funzione sottostante: ogni cultura avrebbe un “Nome-del-Padre” che introduce la Legge. D&G contesteranno proprio questo: l'”universalità” dell’Edipo e della funzione paterna è una proiezione ideologica della famiglia borghese capitalistica sulle società precedenti. La psicoanalisi spaccia per struttura eterna ciò che è prodotto storico. Questa operazione è strutturalmente castrante: il soggetto deve rinunciare al fantasma di fusione totale con la madre (il godimento primordiale) per diventare un soggetto parlante, un essere sociale. La castrazione simbolica è la condizione della soggettività. Nella struttura nevrotica, il Nome-del-Padre è stato accettato (anche se in modo conflittuale); nella struttura psicotica, c’è stata forclusione (Verwerfung) del Nome-del-Padre, la legge simbolica non è stata inscritta, e il soggetto rimane in balia del Reale.
Il nesso capitalismo-schizofrenia: una prima mappa
Qui arriviamo al cuore del progetto Anti-Edipo. Il titolo completo è emblematico: L’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia. Perché questo accostamento apparentemente bizzarro? D&G sostengono che il capitalismo produce schizofrenia come sua tendenza intrinseca, ma allo stesso tempo deve reprimerla costantemente per sopravvivere. Il capitalismo è un sistema economico che, per funzionare, deve continuamente decodificare i flussi – sciogliere le vecchie forme sociali, distruggere le tradizioni, mercificare tutto. Marx aveva già mostrato come il capitalismo sia rivoluzionario: “tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria”. Il capitalismo deterritorializza, rimuove i codici tradizionali (casta, clan, religione) e li sostituisce con il codice astratto del denaro. Ma questa decodificazione è anche pericolosa per il capitalismo stesso: se spingesse la decodificazione fino in fondo, il sistema imploderebbe. Quindi il capitalismo deve anche ricodificare, re-inscrivere limiti, produrre nuove territorializzazioni artificiali. E una delle principali forme di ricodificazione è proprio la famiglia edipica.
La famiglia nucleare borghese, con la sua struttura papà-mamma-bambino, funziona come una macchina di contenimento del desiderio. Secondo D&G, la psicoanalisi – lungi dall’essere uno strumento di liberazione – è complice di questa operazione repressiva. Come? La psicoanalisi prende il desiderio, che per D&G è essenzialmente produttivo e sociale (il desiderio investe direttamente il campo sociale, la storia, l’economia), e lo ripiega sulla famiglia. Qualunque cosa desideriamo, ci dice Freud, in realtà desideriamo papà o mamma. Qualunque investimento politico, sociale, rivoluzionario, viene ricondotto al dramma familiare privato. Un operaio, per esempio, che si ribella contro il padrone viene interpretato dalla psicoanalisi classica come uno che sta “realmente” ribellandosi contro il padre, cosicché il desiderio rivoluzionario viene neutralizzato, privatizzato, familiarizzato.
Qui D&G operano una distinzione fondamentale. La schizofrenia per loro non è principalmente una malattia mentale da curare ma un processo, la tendenza della decodificazione capitalista spinta al limite. Lo schizofrenico (in senso deleuziano, non clinico) è colui che vive la decodificazione dei flussi nella propria carne, è attraversato da intensità che non si lasciano ricodificare nella forma familiare, da desideri che non passano per papà-mamma. È in questo senso il “limite” verso cui il capitalismo tende ma che non può mai raggiungere. Gli schizofrenici concreti, quelli ricoverati nei manicomi, sono spesso il risultato dell’impossibilità di sostenere questo processo: sono stati “schizofrenizzati” dal sistema, poi non hanno avuto i mezzi per elaborare il processo. La schizofrenia come entità clinica è spesso il risultato di una ricodificazione violenta fallita. D&G non glorificano la malattia mentale ma distinguono sempre tra processo schizofrenico (tendenza alla decodificazione assoluta, apertura rivoluzionaria) e schizofrenico come entità clinica (risultato di un processo bloccato, neutralizzato, rivoltato contro se stesso).
La domanda di Spinoza: perché le masse desiderano la propria oppressione?
La domanda che attraversa l’Anti-Edipo – perché le masse desiderano la propria oppressione? – non nasce con D&G, né con Wilhelm Reich. Ha una genealogia filosofica precisa che risale a Spinoza. Nella Prefazione al Trattato teologico-politico (1670), Spinoza pone una questione che lo lascia stupefatto:
“Se gli uomini potessero condurre tutte le loro faccende secondo un disegno ben definito, o se la fortuna fosse loro sempre favorevole, non sarebbero mai vittime della superstizione. Ma poiché spesso si trovano in difficoltà tali da non poter prendere alcuna decisione e poiché di solito anelano smodatamente ai beni incerti della fortuna, oscillano miseramente, per lo più, tra la speranza e il timore […]. Di qui il fatto che la maggior parte degli uomini crede come meglio desidera, finché è invasa dalla speranza; ma quando è sopraffatta dal timore, crede qualunque cosa. […] Nulla è più efficace della superstizione per governare le masse.”
E poco dopo, ancora più esplicitamente:
“Perché gli uomini combattono per la loro schiavitù come se si trattasse della loro salvezza?”
Questa domanda è scandalosa per tutta la tradizione illuminista. Se l’uomo è razionale, se conosce il proprio interesse, perché si sottomette volontariamente? Perché desidera re, preti, despoti? Perché difende con ferocia l’ordine che lo opprime? La risposta tradizionale è: ignoranza e inganno. Gli uomini sono ingannati dalla religione, dall’ideologia, dalla propaganda. Se fossero illuminati, si libererebbero. È la posizione dell’Illuminismo e, in certa misura, del marxismo ortodosso: “falsa coscienza”, “sovrastruttura ideologica”, “manipolazione”. Ma questa risposta non convince. Wilhelm Reich, psicoanalista marxista eretico, negli anni ’30 si trova di fronte allo stesso enigma: le masse tedesche non sono state ingannate dal nazismo, lo hanno desiderato, hanno votato Hitler, hanno acclamato i raduni di Norimberga, hanno denunciato ebrei e comunisti con entusiasmo. Non per ignoranza, ma per desiderio. Reich scrive in Psicologia di massa del fascismo (1933):
“Il problema centrale non è: ‘Come le masse sono state ingannate?’, ma: ‘Perché le masse hanno desiderato il fascismo?’ Il problema non è Goebbels o la propaganda nazista, ma la struttura caratteriale delle masse stesse.”
D&G radicalizzano Reich. Nell’Anti-Edipo scrivono:
“Il desiderio non è mai ingannato. L’interesse può essere ingannato, misconosciuto o tradito, non il desiderio. Donde il grido di Reich: no, le masse non sono state ingannate, hanno desiderato il fascismo, ed è questo che bisogna spiegare” (AE, 293).
La distinzione è capitale. L’interesse (economico, razionale) può essere ingannato: un operaio può credere che il fascismo serva i suoi interessi, mentre in realtà lo danneggia. Ma il desiderio no: se l’operaio desidera il fascismo, è perché il fascismo risponde a un investimento libidico, a una struttura del desiderio che non ha nulla a che fare con calcoli razionali. Spinoza aveva già intuito questo: non è questione di ragione vs. errore, ma di affetti. Gli uomini sono governati dalla speranza e dal timore, non dalla ragione. E speranza e timore sono passioni, affetti, desideri – non rappresentazioni cognitive che si possano correggere con l’educazione.
Esistono investimenti libidinali paranoici (che ricodificano, che cercano il capo, l’unità, l’identità) e investimenti libidinali schizofrenici (che decodificano, moltiplicano, diffrangono). Il fascismo è un investimento paranoico di massa del campo sociale. E qui c’è un punto decisivo, da non dimenticare mai: il desiderio non è automaticamente rivoluzionario. La psicoanalisi edipica, insistendo sulla famiglia, sulla legge del Padre, sulla castrazione come necessaria, prepara soggettività docili a investimenti paranoici. È per questo che D&G propongono la schizoanalisi: non una terapia, ma una pratica politica di liberazione dei flussi desideranti.
Schizofrenia: chiarimento terminologico
Perché D&G usano la categoria della schizofrenia? Questa è la confusione più diffusa, alimentata dal linguaggio comune e dal cinema. “Schizofrenia” viene dal greco schízein (dividere, scindere) + phrḗn (mente), quindi letteralmente “mente divisa”. Ma clinicamente non indica affatto una “personalità multipla” o “doppia personalità” (quello è il disturbo dissociativo dell’identità, tutt’altra cosa). Eugen Bleuler conia il termine “schizofrenia” nel 1908 per sostituire la vecchia “dementia praecox” di Kraepelin. Per Bleuler, la schizofrenia è caratterizzata da: dissociazione (non “scissione della personalità”, ma frammentazione dei processi psichici); autismo (ritiro dal mondo sociale, ripiegamento su sé); ambivalenza affettiva (coesistenza di affetti contraddittori); disturbi del pensiero (pensiero frammentato, illogico, associazioni bizzarre). Soprattutto, ciò che colpisce i clinici è la perdita dei nessi logici e causali. Lo schizofrenico “salta” da un’idea all’altra senza connessioni apparenti, perde il filo del discorso, le associazioni sono “allentate” (loose associations), il linguaggio diventa un flusso di frammenti non connessi. Esempio classico (da un caso clinico) – Domanda: “Come ti senti oggi?”; Risposta: “Il sole è caldo. Mia madre porta sempre il cappello rosso. I numeri primi sono infiniti. Ho fame.” Non c’è “doppia personalità”, c’è frammentazione, dispersione, perdita dell’unità soggettiva.
D&G non parlano dello schizofrenico come paziente psichiatrico. Parlano della schizofrenia come processo, come tendenza, come movimento. Lo schizofrenico clinico è colui in cui questo processo è andato “troppo oltre”, è collassato su se stesso. Ma il processo in sé – la deterritorializzazione, la frammentazione, lo scioglimento delle identità fisse – è presente ovunque. Scrivono: “La schizofrenia come processo è la produzione desiderante, è la produzione tout court. Noi non vogliamo dire che lo schizofrenico (clinico) sia rivoluzionario. Al contrario: è spesso reazionario, paranoico. Ma il processo schizofrenico è un’altra cosa” (AE).
Ora capiamo la differenza: il paranoico investe il desiderio su unità, totalità, identità fisse; ha bisogno di un centro (il Despota, il Führer, Dio, la Nazione, la Razza); teme la dispersione, il caos, la molteplicità; vuole riterritorializzare, ristabilire confini, gerarchie, ordine. Esempio storico: il fascismo. Lo schizofrenico (come processo) disperde il desiderio in molteplicità, frammenti, flussi; non c’è centro, non c’è unità soggettiva; le connessioni sono eterogenee, trasversali, non gerarchiche; tende alla deterritorializzazione, scioglimento di confini, identità, codici. Non c’è un “esempio storico” puro, perché è il limite del capitalismo stesso.
Il capitalismo è sospeso tra questi due poli. Da un lato, decodifica i flussi (distrugge i codici tradizionali: feudalesimo, religione, autorità paterna) – questo è il movimento schizofrenico. Dall’altro, deve ricodificare (altrimenti implode nel caos), usa l’assiomatica, la famiglia, lo Stato – questo è il movimento paranoico. Il capitalismo produce continuamente schizofrenia (flussi decodificati, deterritorializzazione) ma ne ha terrore. Quindi oscilla tra polo schizofrenico (tutto si dissolve, deterritorializzazione assoluta: la crisi, il collasso) e polo paranoico (riterritorializzazione violenta, ricodificazione brutale: il fascismo). Lo schizofrenico clinico è colui che il capitalismo “produce” ma poi deve rinchiudere, perché porta il processo troppo oltre.
Perché non usare termini come “frammentazione” o “dispersione”? Perché “schizofrenia” ha un doppio vantaggio: è un termine tecnico, preso dalla psichiatria, che dà peso scientifico al discorso; è provocatorio, associare capitalismo e follia è uno choc teorico. Ma soprattutto vogliono dire che ciò che la psichiatria chiama “malattia mentale” (schizofrenia) è in realtà il limite reale del capitalismo, non un’anomalia individuale. Lo schizofrenico non è “malato”: è colui che ha portato alle estreme conseguenze la logica del capitalismo – decodificazione totale, deterritorializzazione assoluta, frammentazione dell’io. Il paranoico ha un’identità troppo forte, troppo rigida (io sono tedesco, io sono ariano, io sono il Führer); lo schizofrenico ha un’identità troppo debole, troppo frammentata (non so più chi sono, sono mille cose insieme, sono nessuno). La “scissione” non è tra due personalità definite (come nel film Psycho), ma è la dissoluzione dell’identità stessa. Non “io sono A e B”, ma “io non sono più una unità”.
Žižek e Land: due direzioni opposte
Prima di immergerci nei testi, è utile anticipare brevemente come i nostri due riferimenti critici si posizionano.
Slavoj Žižek (1949-) è probabilmente il più sistematico critico contemporaneo di Deleuze. Per Žižek, il vitalismo deleuziano della molteplicità produttiva è un’illusione: il negativo è ineliminabile. Žižek difende Lacan: il soggetto è costitutivamente mancante ($), barrato, diviso. Questa divisione non è repressione sociale rimovibile, ma la condizione stessa della soggettività. Voler dissolvere il soggetto nelle molteplicità desideranti (come fa Deleuze) significa perdere ciò che rende umano l’umano. Inoltre, Žižek critica l’idea deleuziana che il capitalismo schizofrenizzi. Per Žižek, il capitalismo funziona perfettamente attraverso la moltiplicazione schizoide delle identità, dei desideri frammentati, del godimento perverso-polimorfo. Il tardocapitalismo è schizofrenico, e questo è il problema, non la soluzione. Žižek proporrà invece un ritorno a Hegel (riletto attraverso Lacan): solo la negatività dialettica, solo il riconoscimento del taglio costitutivo, permette una vera critica del capitalismo.
Nick Land (1962-) parte da D&G ma li radicalizza in direzione opposta a Žižek. Se D&G mantengono ambiguità (la schizofrenia è emancipativa? Il capitalismo va accelerato o frenato?), Land risponde senza esitazione: accelerare. Per Land, il capitalismo è già una forza xenomorfa, inumana, che dissolve ogni formazione sociale tradizionale. Non bisogna opporglisi in nome di una qualche umanità da salvare, ma accelerarne la tendenza alla decodificazione assoluta. Il tecnocapitale è la vera macchina desiderante, che va oltre ogni soggettività umana. Land trasforma la schizoanalisi in xenoanalisi: analisi dell’alieno, dell’inumano, dell’intelligenza artificiale emergente. Il futuro non appartiene all’uomo ma alle intelligenze sintetiche prodotte dal capitale stesso. Dove D&G mantengono un certo vitalismo (il desiderio come produzione vitale), Land abbraccia un nichilismo tecno-commerciale: la vita stessa è solo un episodio transitorio nella storia del cosmo-capitale.
L’accelerazionismo di sinistra: Fisher, Srnicek, Williams
Nick Land offre una radicalizzazione estrema (e tradimento?) di D&G: accelerare la deterritorializzazione fino al collasso, abbracciare la xenogenesi, il post-umano, il nichilismo tecnologico. Ma c’è un’altra genealogia accelerazionista, di sinistra, che rivendica Deleuze in modo molto diverso e che merita uno spazio adeguato in questo studio. L’accelerazionismo di sinistra nasce dalla stessa matrice teorica di Land – la CCRU (Cybernetic Culture Research Unit) a Warwick negli anni ’90 – ma prende una strada radicalmente diversa. I suoi protagonisti sono Mark Fisher (1968-2017), Nick Srnicek e Alex Williams.
Mark Fisher, collega di Land alla CCRU, si allontana presto dal nichilismo landiano e sviluppa una delle categorie più influenti del pensiero contemporaneo, il realismo capitalista. Nel suo libro Realismo capitalista (2009), Fisher diagnostica la condizione del presente come l’impossibilità di immaginare un’alternativa al capitalismo:
“È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo” (frase attribuita sia a Fredric Jameson che a Slavoj Žižek).
Il realismo capitalista non è solo ideologia economica, è un’atmosfera pervasiva, una struttura del sentire che permea la cultura, l’educazione, la salute mentale. Fisher mostra come il neoliberismo abbia colonizzato l’immaginario stesso, rendendo ogni alternativa non solo impraticabile, ma letteralmente impensabile. Riprende da D&G il concetto di desiderio come chiave politica e nota che, mentre il neoliberismo, dagli anni ’80 in poi, è riuscito a presentarsi come desiderabile (libertà, creatività, flessibilità), la sinistra si è chiusa in un moralismo autoreferenziale, incapace di parlare al desiderio. Il capitalismo ha vinto perché ha saputo catturare il desiderio, non solo gli interessi.
Nel saggio Uscire dal Castello dei Vampiri (2013), Fisher denuncia le dinamiche autodistruttive della sinistra militante, dove il giudizio morale e la competizione identitaria prevalgono sulla costruzione di orizzonti comuni. Il “castello” abitato da militanti che si “succhiano il sangue” a vicenda è metafora di una sinistra ripiegata su se stessa, mentre fuori il capitalismo continua a espandersi. La domanda di Fisher è più attuale e urgente che mai: come può la sinistra riappropriarsi del desiderio? Come può tornare a essere desiderabile, a produrre immaginari alternativi?
Nick Srnicek e Alex Williams, allievi di Fisher e del filosofo Ray Brassier, pubblicano nel 2013 il Manifesto per una politica accelerazionista (#Accelerate), seguito nel 2015 dal libro Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro. La loro tesi è provocatoria: la sinistra ha sbagliato strategia. Ha cercato di resistere al capitalismo (movimenti locali, decrescita, ritorno alla natura, piccole comunità), ma questa strategia è perdente. Il capitalismo è troppo potente, troppo flessibile, troppo capace di fagocitare ogni resistenza. La soluzione? Accelerare, ma in direzione opposta a Land. Non accelerare verso il collasso nichilista, ma appropriarsi delle forze produttive del capitalismo per costruire un futuro post-capitalista.
I tre pilastri dell’accelerazionismo di sinistra sono: piena automazione (invece di resistere alla tecnologia, come fa certa sinistra luddista, bisogna spingerla al massimo – l’automazione deve liberare l’umanità dal lavoro, non renderla schiava); reddito di base universale (sganciare il reddito dal lavoro – se le macchine producono, gli esseri umani devono godere dei frutti senza essere costretti a lavorare); riduzione dell’orario di lavoro (il futuro non è “più lavoro per tutti”, ma meno lavoro per tutti, fino all’abolizione del lavoro come necessità). Queste idee sono sintetizzate nello slogan “We want full automation, luxury communism!” (comunismo di lusso completamente automatizzato). Srnicek e Williams riprendono da D&G l’idea che il capitalismo ha già creato le condizioni materiali per il suo superamento (automazione, tecnologia, reti globali). Come scrivono Deleuze e Guattari nell’Anti-Edipo:
“Forse i flussi non sono ancora abbastanza deterritorializzati, abbastanza decodificati. Non ritirarsi dal processo, ma andare più lontano, accelerare il processo” (AE).
Ma dove Land interpreta questo come accelerazione dentro il capitalismo (fino al post-umano), Srnicek e Williams lo interpretano come accelerazione oltre il capitalismo, verso una società post-scarsità, post-lavoro, egualitaria.
Le critiche non mancano: visione troppo ottimista sulla tecnologia (l’automazione sotto il capitalismo produce disoccupazione e precarietà, non liberazione – chi ci garantisce che una “piena automazione” sarebbe gestita in modo egualitario?); sguardo prometeico e antropocentrico (si recupera un’ideologia del progresso – illuminismo, marxismo classico – che il Novecento ha ampiamente falsificato; la tecnologia non è neutra, ha effetti ecologici devastanti); mancanza di chiarezza sulla transizione (come si passa dal capitalismo accelerato al comunismo di lusso? Chi guida questa transizione? Lo Stato? I movimenti? Le piattaforme digitali?).
L’accelerazionismo di sinistra, comunque, ci interessa per tre ragioni: rivendica Deleuze in modo meno apocalittico di Land (non tradisce D&G, li completa in direzione emancipatrice); prende sul serio la domanda del desiderio (come Fisher sottolinea, la sinistra deve tornare a essere desiderabile, non solo giusta – deve produrre immaginari, affetti, orizzonti, non solo rivendicazioni morali); offre una risposta alla domanda finale del nostro studio: se il capitalismo produce schizofrenia, cosa facciamo? Žižek direbbe: accettare la negatività, non illudersi di un desiderio puro; Land controbatte: accelerare fino al collasso post-umano; Fisher-Srnicek-Williams oppongono: accelerare verso un futuro egualitario, tecnologico, post-lavoro.
Mark Fisher si è suicidato nel gennaio 2017, a 48 anni, dopo anni di lotta contro la depressione. La sua morte ha scosso profondamente la comunità filosofica e politica di sinistra. Fisher aveva scritto ampiamente sulla malattia mentale come prodotto del neoliberismo: depressione, ansia, burnout non sono fallimenti individuali ma sintomi sociali, effetti dell’assiomatica capitalistica che colonizza ogni aspetto della vita. Il capitalismo produce soggetti esausti, depressi, incapaci di immaginare alternative. Il suo suicidio è stato letto da molti come la conferma tragica della sua diagnosi: il realismo capitalista uccide, letteralmente. L’impossibilità di immaginare un futuro diverso genera disperazione. Per questo motivo, l’accelerazionismo di sinistra non è solo teoria astratta, è un tentativo disperato di riaprire il futuro, di tornare a desiderare, di combattere la depressione collettiva del presente.
Blue Velvet: la psicoanalisi in immagini
Serve un film che mostri visivamente i concetti psicoanalitici fondamentali, che faccia vedere cosa c’entra la psicoanalisi con il sociale/politico e che sia abbastanza provocatorio da catturare l’attenzione. Blue Velvet (Velluto blu) di David Lynch è perfetto per questi tre scopi.
Mostra tutti i concetti psicoanalitici chiave in modo visivo: l’inconscio (l’orecchio marcio sotto il prato perfetto = ciò che è rimosso ma continua ad agire); l’Edipo (Frank che urla “Mommy!” = il triangolo edipico portato all’estremo); il sintomo (Frank stesso come sintomo di Lumberton, la città “perfetta”); il fantasma (la superficie idilliaca – prato, pompieri, tulipani – come costruzione fantasmatica); il Reale (l’orecchio, Frank, la violenza = ciò che il fantasma deve nascondere); la rimozione (Jeffrey scopre cosa la città ha rimosso: la violenza, il godimento osceno).
Mostra il nesso psicoanalisi-politica. Lumberton sembra la perfetta città americana anni ’50, ma questa perfezione è costruita sulla rimozione della violenza (Frank nel sottoscala); Frank è il rovescio osceno dell’ordine sociale – incesto, stupro, sadismo; non è un’eccezione: è ciò che sostiene l’ordine simbolico; la società “sana” si fonda sulla rimozione del godimento osceno.
Introduce il tema capitalismo-schizofrenia: la città ordinata (capitalismo come ordine) vs. il caos pulsionale di Frank (schizofrenia come limite); Frank non è “pazzo” nel senso clinico: è il punto in cui l’ordine simbolico collassa; Dorothy come oggetto di scambio tra ordini simbolici diversi (suo marito poliziotto / Frank criminale); il gas che inala Frank – sostanza chimica che altera la percezione = la schizofrenia come chimica cerebrale E come processo sociale.
Frank urla “Mommy!” mentre stupra. La psicoanalisi classica direbbe: ha un problema edipico irrisolto e bisogna curarlo. D&G dicono: no, Frank è il sintomo di Lumberton, della città perfetta che ha bisogno di rimuovere la violenza per funzionare. Frank non è un individuo malato, è il prodotto di un sistema – e il sistema è il capitalismo. Ora, la domanda del nostro studio è: se il capitalismo produce Frank, se produce sintomi, deliri, schizofrenia… cosa possiamo farci? Reprimere (come fa la polizia in Blue Velvet)? Accelerare (lasciare che Frank diventi ancora più estremo)? O c’è una terza via?
Nei prossimi saggi entreremo nel vivo dell’Anti-Edipo, analizzando come D&G costruiscono un’alternativa radicale sia a Freud sia a Lacan: l’inconscio non come teatro di rappresentazioni ma come fabbrica, il desiderio non come mancanza ma come produzione, il corpo non come organismo ma come macchina.