Con questo articolo iniziamo l’immersione nell’Anti-Edipo, il primo volume di Capitalismo e schizofrenia, pubblicato da Gilles Deleuze e Félix Guattari nel 1972. È un testo che all’epoca fece scandalo – fu accolto con entusiasmo dai movimenti post-sessantottini e con orrore dall’establishment psicoanalitico. Jacques-Alain Miller, genero di Lacan e custode della sua eredità, lo definì un “libro di merda”. Non esattamente una recensione accademica misurata. Miller definì il libro in quel modo perché vedeva in Deleuze e Guattari dei “falsari” che stavano usando il prestigio della psicoanalisi per distruggerla dall’interno, sostituendo la tragica verità del soggetto diviso con una sorta di entusiasmo vitalistico che, secondo lui, non portava alla liberazione, ma solo alla confusione mentale. È interessante notare che lo stesso Lacan ebbe una reazione più ambivalente: era infastidito, ma anche segretamente incuriosito dal fatto che i suoi “allievi” (Guattari era un suo analizzando) avessero avuto il coraggio di sfidarlo così apertamente. Perché tanta violenza da parte di Miller? Perché D&G non si limitano a criticare alcune tesi psicoanalitiche. Attaccano l’intera struttura della psicoanalisi come teoria e come pratica, sostenendo che essa sia complice della repressione capitalistica del desiderio. E lo fanno con un linguaggio volutamente provocatorio, mescolando filosofia, psicoanalisi, antropologia, economia politica, letteratura.
Qui ci concentreremo sui primi due capitoli, che contengono il nucleo teoretico fondamentale: la teoria delle macchine desideranti e la critica radicale della concezione edipica dell’inconscio. Sarà denso, a tratti ostico, ma assolutamente centrale per tutto ciò che verrà dopo.
L’Anti-Edipo si apre con una delle frasi più celebri della filosofia del Novecento:
“Funziona dappertutto, ora senza soste, ora discontinuamente. Respira, si scalda, mangia. Caca, fotte.”
Prendiamoci un momento per capire cosa sta succedendo qui. D&G stanno descrivendo l’inconscio, ma non come lo descriverebbero Freud o Lacan. Per la psicoanalisi classica, l’inconscio è un teatro, un luogo dove si rappresentano scene, drammi, fantasie. L’analista interpreta queste rappresentazioni come se fossero geroglifici da decifrare, simboli che nascondono desideri rimossi. Per D&G, questa è una mistificazione idealista perché l’inconscio non è un teatro, è una fabbrica. Non rappresenta, produce, non simbolizza, funziona. Da qui il tono volutamente materialistico, quasi volgare: caca, fotte. Il desiderio non è qualcosa di sublime che viene poi degradato dalla realtà sociale. Il desiderio è processo materiale, produzione di flussi corporei, intensità, connessioni.
Per D&G l’inconscio non è un segreto da interpretare, ma una macchina che produce. Ecco il senso profondo di quel “funzionamento” insistito. Per Lacan/Freud, l’inconscio è un palcoscenico dove si recita sempre lo stesso dramma (Edipo, la mancanza, il desiderio del padre) e l’analista è il regista che interpreta il copione. Quando D&G dicono “funziona”, intendono dire che il desiderio non è una domanda di amore o un riconoscimento di una mancanza, ma è un’energia che connette pezzi di mondo. La “macchina-bocca” si connette alla “macchina-seno”; la “macchina-ano” si connette alla “macchina-flusso-di-merda”. Il “Ça” è una macchina Impersonale, l’uso del termine francese “Ça” (tradotto come “Es” in psicoanalisi, ma che in francese significa semplicemente “Ciò/Esso”) serve a de-umanizzare l’inconscio. Non c’è un “Io”, “Caca, fotte, mangia” sono verbi alla terza persona singolare perché, a livello profondo, non è “Tizio” o “tu” che desideri, è la vita stessa, intesa come un insieme di macchine desideranti, che compie queste azioni. Sottolineare il “caca, fotte” serve a riportare l’inconscio alla sua base materialista. D&G vogliono spazzare via l’idea che l’inconscio sia fatto di “simboli” o “significanti” astratti. L’inconscio è fatto di flussi biologici, tecnici e sociali che si incastrano tra loro. Perché insistere sul funzionamento? Perché una macchina non ha un “senso”, ha solo un uso. Se vai da un analista lacaniano e gli racconti un sogno, lui ti chiederà: “Cosa significa?”. Deleuze ti chiederebbe: “Come funziona?”. Con cosa si è connesso questo tuo desiderio? Quali flussi ha messo in moto e quali ha interrotto? “Caca, fotte” sono termini brutali perché la produzione del desiderio è brutale, pre-verbale e pre-edipica. Non c’è nulla di “nobile” o “spirituale” nell’inconscio deleuziano; è un brulicare di connessioni meccaniche. Questa è la conseguenza più politica: se l’inconscio funziona “dappertutto”, allora non è chiuso nella cameretta dei genitori (mamma-papà-io). Le “macchine” dell’inconscio sono le stesse macchine della società: il capitale, le fabbriche, la burocrazia, la guerra. Sottolineando il funzionamento, D&G dicono che il desiderio produce realtà, non è un’illusione fantastica; il desiderio costruisce il mondo così come le formiche costruiscono il formicaio. Allora è chiaro perché Miller lo definì un “libro di merda”. Proprio perché questa apertura distrugge l’eleganza del “matema” lacaniano. Per Miller, l’inconscio è una struttura linguistica raffinata e vederlo ridotto a un “mangia, caca, fotte” meccanico gli appariva come un insulto all’intelligenza e alla dignità della psicoanalisi. Era, ai suoi occhi, un ritorno alla “carne” senza legge. In breve: quell’apertura serve a dirti: “Dimentica Edipo, dimentica il senso, dimentica il papà. Guarda come le forze della vita si agganciano le une alle altre e producono il mondo”.
Tutta la psicoanalisi, sostengono i nostri autori, è costruita allora su un presupposto falso, che l’inconscio sia strutturato come un linguaggio (Lacan) o come un sistema di rappresentazioni (Freud). In entrambi i casi, l’inconscio sta per qualcos’altro. Il sogno sta per il desiderio rimosso, il sintomo sta per il trauma originario, il significante sta per il significato assente. Ma pensateci: questa logica della rappresentazione presuppone sempre una mancanza originaria. Il bambino desidera la madre perché non può averla, il soggetto parla perché è separato dalla Cosa, il desiderio nasce dalla perdita, dalla castrazione, dal lutto dell’oggetto primordiale. D&G ribaltano tutto questo. Il desiderio non nasce da una mancanza. Il desiderio è produzione positiva. Non desideriamo perché ci manca qualcosa, ma perché siamo macchine produttive che connettono, tagliano, fanno scorrere flussi. La mancanza, quando c’è, è prodotta secondariamente dalla repressione sociale, non è la condizione originaria del desiderio.
Questa è una mossa filosofica radicale. D&G stanno proponendo un materialismo del desiderio contro ogni idealismo della mancanza. Nel materialismo classico, la materia è passiva, è la res extensa cartesiana, la sostanza inerte che viene plasmata da forme o forze esterne. Anche nel materialismo marxista standard, la materia economica (forze produttive, rapporti di produzione) determina le sovrastrutture ideologiche ma non è essa stessa “desiderante”. D&G invece sostengono che la realtà materiale stessa è desiderante. Il desiderio non è sovrastruttura psichica che si aggiunge a una base materiale, è la produzione materiale stessa. Quando un corpo respira, mangia, si muove, si connette con altri corpi, sta desiderando perché il desiderio è immanente ai processi materiali. Questo avrà conseguenze enormi. Se il desiderio è produzione materiale, allora l’inconscio investe direttamente il campo sociale. Non c’è bisogno di passare attraverso la mediazione familiare (papà-mamma) per capire il desiderio, questo investe immediatamente l’economia, la politica, le macchine sociali di produzione.
Per D&G, non c’è distinzione tra materia ed energia e parlano apertamente di materialismo Libidico. Il flusso è la materia prima dell’universo (Hyle) colta nel suo stato di movimento perpetuo. Può essere un flusso di latte, un flusso di sperma, un flusso di parole, un flusso di denaro o un flusso di elettroni. Il desiderio è l’energia stessa che spinge questi flussi a scorrere e a connettersi, mentre ogni “macchina desiderante” ha il compito di tagliare il flusso. Ad esempio, la bocca (macchina) taglia il flusso di latte (materia-energia) che esce dal seno. Il desiderio è l’intero processo,il fluire e il tagliare. Il flusso è materia-energia indivisa e il desiderio è l’atto di produrre, connettere e interrompere questi flussi.
Il desiderio è pre-individuale e pre-soggettivo. Nella psicoanalisi tradizionale, l’Io è il padrone del desiderio (“Io desidero la mamma”). Per D&G, l’Io è solo un prodotto tardivo, una sorta di “crosta” che si forma sopra i flussi. Il desiderio è concatenamento, non avviene dentro una persona, ma tra le cose. Non sei “tu” che desideri Dorothy in Blue Velvet, è una macchina-sguardo, una macchina-armadio e una macchina-velluto che, connettendosi, producono un flusso di desiderio. D&G non lasciano dubbi sul fatto che il desiderio sia un processo impersonale. Come quando diciamo “Piove” (non c’è un soggetto che compie l’azione di piovere, è un evento), così dovremmo dire “desidera”. Il soggetto non è colui che desidera, ma ciò che resta alla fine del processo, “un resto” (un reste). Dopo che le macchine hanno funzionato e i flussi sono passati, compare una piccola coscienza che dice: “Oh, sono io che ho provato questo!”. Ma è un’illusione ottica. Il soggetto arriva sempre a cose fatte, post festum.
Entriamo ora nel cuore concettuale del primo capitolo: la teoria delle macchine desideranti. Una macchina desiderante non è un oggetto meccanico, ovviamente. È un accoppiamento funzionale che produce qualcosa prelevando da un flusso. D&G usano continuamente l’immagine della connessione: macchina-bocca connessa a macchina-seno, macchina-ano connessa a macchina-intestino, e così via. Ogni macchina desiderante funziona solo in connessione con altre macchine. Non esiste una macchina isolata. La bocca da sola non desidera, desidera solo quando si connette a qualcosa da cui prelevare (seno, cibo, aria). Ogni macchina desiderante è allo stesso tempo macchina-sorgente (emette un flusso) e macchina-organo (si connette a un flusso per prelevare). Il seno è sorgente di latte, ma esso stesso è connesso alla macchina-corpo della madre. Non c’è punto di origine assoluto. Le macchine desideranti non si limitano al biologico. Sono anche sociali, tecniche, semiotiche. Una macchina-operaio si connette a una macchina-fabbrica, una macchina-parlante si connette a una macchina-lingua. Il desiderio attraversa tutti i livelli senza distinzione natura/cultura. L’insistenza di D&G sul termine macchina è il loro modo per far saltare in aria tutta la tradizione umanistica e spiritualistica occidentale. Per loro, l’inconscio non è una persona che piange o un bambino che ha paura; è un assemblaggio di componenti che si incastrano.
Le macchine desideranti, quindi, funzionano secondo una logica binaria molto semplice: una macchina produce un flusso e l’altra macchina effettua un taglio. Esempio classico è la bocca del bambino (macchina-taglio) che si connette al seno della madre (macchina-flusso). Sono parziali, non esiste una macchina “totale”. C’è solo un pezzo che si attacca a un altro pezzo e sono immanenti, non lavorano per uno scopo superiore (la “salute”, la “famiglia”), lavorano e basta, “Funziona!”, come dicevamo prima.
D&G preferiscono “macchina” a “organismo” per un motivo politico e clinico: l’organismo è un corpo “organizzato”, cioè gerarchizzato, c’è un centro (il cervello o il cuore) che comanda le parti, l’organismo è il corpo sottomesso alla legge e alla funzione. Il Macchinico è anarchico, in una macchina desiderante, un orecchio può connettersi a una formica, un respiro a un tubicino di gas, un pezzo di velluto a una ferita, non c’è una “giusta” funzione, c’è solo una potenza di connessione. C’è una distinzione sottile ma fondamentale che suggerisce di usare macchinico invece che meccanico, il meccanico è la macchina tecnologica che serve a qualcosa (la lavatrice serve a lavare), è chiusa e limitata, il macchinico è un processo aperto, è la capacità del desiderio di “fare macchina” con tutto ciò che incontra, con la natura, con la società, con la tecnica. La psicoanalisi diceva: “Il tuo desiderio è una rappresentazione di tuo padre”. D&G rispondono: “Il mio desiderio non rappresenta nulla, è una macchina che sta producendo qualcosa di nuovo”. L’insistenza sul macchinico serve a de-psicologizzare, a togliere il desiderio dal regno dei “sentimenti” e riportarlo in quello della produzione materiale, ma serve anche a de-umanizzare, a mostrare che l’uomo non è al centro dell’universo, ma è solo un componente (spesso malfunzionante) di un’immensa macchina cosmica e sociale. L’insistenza sul macchinico serve a dirti che non c’è un “dentro” e un “fuori”, non c’è un’anima dentro e un mondo fuori, ci sono solo flussi che passano e macchine che li intercettano. Il capitalismo è la macchina che ha capito meglio di tutti come sfruttare questi flussi, trasformandoli in denaro.
D&G distinguono tre operazioni fondamentali delle macchine desideranti, che chiamano “sintesi” (termine che prendono da Kant, ma lo stravolgono completamente).
Sintesi connettiva: “e… e… e…” È l’operazione più semplice, connessione di flussi. Una macchina si connette a un’altra, preleva da un flusso, produce qualcosa. “E poi… e poi… e poi…”. È la logica dell’addizione, della proliferazione. Pensate a come funziona un corpo: la bocca si connette al seno, il latte scorre, l’intestino si connette allo stomaco, il sangue scorre, i polmoni si connettono all’aria, l’ossigeno scorre. Non c’è un’unità organica che precede queste connessioni, perché l’unità è effetto delle connessioni, non loro presupposto. La sintesi connettiva produce quello che D&G chiamano flussi parziali. Non c’è un flusso totale, una circolazione chiusa, solo prelievi, connessioni, interruzioni, nuove connessioni. Il desiderio è essenzialmente parziario, frammentato. Non tende alla totalità (come vorrebbe Hegel) né all’unità (come vorrebbe la psicoanalisi dell’Io integrato).
La sintesi connettiva è il primo tempo del funzionamento dell’inconscio ne L’Anti-Edipo. Se l’inconscio è una fabbrica, la sintesi connettiva è la catena di montaggio dove i pezzi si incastrano l’uno nell’altro. D&G la definiscono come la produzione di produzione. È il livello più elementare e vitale del desiderio, quello dove le cose si toccano e iniziano a funzionare. Mentre la logica del pensiero cosciente (o del Simbolico lacaniano) è spesso basata sul “O… o…” (esclusione) o sul “Se… allora…” (causalità), la sintesi connettiva del desiderio usa solo la congiunzione e. Il desiderio non sceglie, accumula, è un processo lineare e infinito: una macchina-organo si connette a una macchina-flusso, e poi a un’altra, e poi a un’altra ancora, senza un punto d’arrivo, solo un’estensione continua di connessioni. È una connessione di macchine a catena, una sintesi libidica e biologica. In questa fase, il desiderio è puramente materiale, non c’è ancora un “Io” che dice “io voglio”, né un oggetto che viene “riconosciuto”, esiste solo un’immanenza assoluta. È il funzionamento biologico che è già, in se stesso, desiderio. D&G vogliono dire che il desiderio non è un “sentimento” nobile. Questa sintesi è rivoluzionaria perché nega la mancanza. Se il desiderio è una connessione continua (“e… e…”), allora non gli manca nulla. Produce costantemente realtà. La “mancanza” (il desiderio lacaniano) interviene solo dopo, quando la società o la famiglia arrivano e dicono: “No, questo non puoi connetterlo!”, oppure “Ti manca il papà!”. La sintesi connettiva è il desiderio prima della castrazione, è la pura potenza di aggancio, è la vita che dice “Sì” a ogni connessione possibile, prima che intervengano la morale, la legge o l’identità personale a dire “No”.
Sintesi disgiuntiva: “o… o… o…” Questa è più sottile. Ogni connessione implica anche una disgiunzione, una biforcazione, una scelta tra flussi. Ma attenzione, non è la disgiunzione esclusiva della logica classica (o A o B, tertium non datur). È una disgiunzione inclusiva. Cosa significa? Che il desiderio non sceglie definitivamente tra alternative esclusive, ma tiene aperti i percorsi alternativi, è il “o questo o quello o qualcos’altro ancora“, è la logica della deriva, della disponibilità a connessioni impreviste. D&G danno esempi clinici: lo schizofrenico che dice “Sono il padre, o il figlio, o lo spirito santo”. Non sta scegliendo un’identità fissa (come farebbe il nevrotico: “Sono il figlio, non il padre”), sta mantenendo aperte le posizioni, le percorre tutte senza fissarsi in nessuna. La sintesi disgiuntiva produce quello che chiamano registrazione sul corpo senza organi (ci arriviamo tra poco). È il modo in cui le intensità si distribuiscono, creando zone, regioni, territorialità provvisorie. Qui il desiderio non si limita a scorrere, ma inizia a “scrivere” sé stesso su una superficie. Questo è il punto in cui D&G attaccano frontalmente l’Edipo e la logica binaria della società. La disgiunzione esclusiva è la logica del “O… o…”. “O sei un uomo o sei una donna”, “O sei Jeffrey (il bene) o sei Frank (il male)”. La società usa la disgiunzione per separare, classificare e castrare. Con la disgiunzione inclusiva, invece, il desiderio non sceglie. Per il desiderio, la formula è: “Sia… sia… sia…”. Tutte le posizioni sono possibili contemporaneamente sulla stessa superficie. Il desiderio è una serie di “scivolamenti” tra queste posizioni. In questa sintesi, il desiderio produce una memoria, ma non una memoria psicologica (fatta di ricordi d’infanzia). È una griglia di registrazione. Il “Si desidera” impersonale inizia a tracciare dei percorsi, il desiderio dice: “Questo flusso passa di qua, quest’altro di là”, è come una mappa di intensità che si disegna sulla pelle del mondo. La sintesi disgiuntiva distribuisce le intensità, non dice cosa significano, ma dove si trovano. Mentre la prima sintesi diceva “E… E… (Connessione)”, la seconda dice “O… O… (Distribuzione)”, ma in senso inclusivo. Sul Corpo senza Organi tutto è possibile, tutto è registrato, tutto è un’intensità che circola.
Sintesi congiuntiva: “dunque è…”Siamo arrivati alla fine della catena di montaggio dell’inconscio. Se la prima sintesi era la fabbrica e la seconda era la registrazione, la terza sintesi (congiuntiva) è quella della consumazione. È qui che accade qualcosa di magico e terribile allo stesso tempo, nasce il soggetto, ma, attenzione, per D&G il soggetto non è il “capo” del desiderio, è solo un residuo, un soggetto molto particolare, un effetto secondario delle connessioni e disgiunzioni precedenti. La formula è: “Dunque ero questo”, il soggetto si riconosce retroattivamente come colui che ha vissuto quelle connessioni. È ciò che D&G chiamano soggetto larvale, nomade, che si sposta da un’intensità all’altra. “Dunque era me che mangiavo, dunque era me che sentivo piacere, dunque era me che soffrivo”. Ma questo me non preesiste alle esperienze, si forma attraverso di esse, come punto di condensazione mobile. Dopo che le macchine hanno prodotto flussi (prima sintesi) e dopo che le intensità si sono distribuite sul Corpo senza Organi (seconda sintesi), si produce un effetto soggettivo. Il soggetto non è colui che desidera, ma colui che prova il piacere o il dolore derivante dal processo, è come il testimone che arriva alla fine di una festa e dice: “Oh, mi sono divertito”. Questa è la parte più provocatoria per la psicoanalisi tradizionale. Per Lacan, il soggetto ($) è al centro del dramma. Per D&G, il soggetto è un pezzo di ricambio che si aggiunge alla macchina solo alla fine, è un “resto” che accompagna il processo di produzione senza esserne la causa, è un’identità che “scivola” sulle intensità. Dato che il desiderio è un flusso continuo, il soggetto della terza sintesi non ha un’identità fissa, è un soggetto nomade. Il soggetto è una serie di stati intensivi che si succedono e l’identità è solo il nome che diamo al passaggio da un’intensità all’altra. Il sistema cerca di fermare il nomadismo intensivo e di fissarlo in un’identità consumistica e rassicurante. D&G chiamano questa sintesi “di consumo” anche perché è qui che il desiderio si trasforma in sentimento e il sentimento è ciò che il soggetto “consuma” per dare un nome al caos delle macchine desideranti. Il capitalismo adora questa sintesi, perché è qui che può venderti dei prodotti (o degli stili di vita) che corrispondono a quei sentimenti. La tragedia, alla fine è quella di accettare di essere un Io, di accettare che il desiderio fosse racchiuso in una piccola identità privata, invece di lasciarlo correre come un flusso rivoluzionario che avrebbe potuto distruggere l’ipocrisia. In Blue Velvet, Jeffrey è stato “catturato”. Il pettirosso meccanico nel finale è il simbolo di questo soggetto della terza sintesi, una creatura che “consuma” un insetto (il reale) e canta una canzone finta, convinta di essere felice.
Facciamo un esempio concreto per chiarire come funzionano le tre sintesi insieme. Consideriamo il lattante che si alimenta: Sintesi connettiva, la bocca-macchina si connette al seno-macchina, il latte scorre, viene prelevato, ingoiato, poi l’intestino-macchina si connette, processa, produce feci, poi l’ano-macchina si connette all’esterno, espelle. Catena di connessioni e interruzioni: e… e… e… Ma il bambino non è solo in questa sequenza determinata. Sintesi disgiuntiva, può succhiare il dito, o il ciuccio, o un lembo di coperta, la bocca è disponibile a connessioni alternative, non è programmata per un solo flusso, o questo o quello o quello ancora, registrazione di possibilità alternative sul corpo. Alla fine di questo processo, sintesi congiuntiva, si forma qualcosa come “un bambino che ha fame/sete/soddisfazione”, ma questo “soggetto” è effetto delle operazioni precedenti, non loro punto di partenza, è un “dunque…” che conclude provvisoriamente una serie di connessioni. Ora, la psicoanalisi classica leggerebbe tutto questo attraverso Edipo, il bambino desidera la madre, il seno è oggetto parziale che rimanda alla madre come oggetto totale mancante, il padre interviene a separare, ecc. D&G dicono, no, questo è sovrapporre artificialmente una griglia interpretativa. Direttamente, immediatamente, quello che succede è: connessioni di macchine, flussi che scorrono, intensità che si distribuiscono. Punto. La “madre” come persona, come oggetto d’amore totale, è una costruzione ideologica posteriore. Il desiderio funziona a un livello più elementare, più materiale.
Arriviamo ora a uno dei concetti più famosi e più fraintesi dell’Anti-Edipo: il corpo senza organi (CsO). D&G prendono questa espressione dal poeta e drammaturgo Antonin Artaud, che negli anni ’40, chiuso in manicomio, scriveva testi visionari contro la medicina psichiatrica. Artaud parlava di “finirla con il giudizio di Dio” che aveva fabbricato il corpo come organismo, con organi assegnati a funzioni specifiche. Artaud voleva un corpo liberato dall’organizzazione, dagli organi come strutture fisse. Un corpo intensivo, attraversato da flussi non canalizzati. D&G riprendono questa immagine ma la trasformano in concetto filosofico. Immaginiamo le macchine desideranti della prima sintesi che producono flussi senza sosta. A un certo punto, questa produzione ha bisogno di una superficie su cui distendersi. Questa superficie è il Corpo senza Organi. Prima di dire cosa è, dobbiamo chiarire cosa NON è, perché le incomprensioni sono frequenti. Non è un corpo morto, ma un corpo senza “organizzazione”, come una terra vergine, un deserto o un vetro liscio su cui le macchine desideranti vengono a posarsi. Non è un ideale da raggiungere, uno stato finale liberato, non è che prima c’è l’organismo cattivo e poi raggiungiamo il CsO buono. Non è una realtà biologica contrapposta a una realtà sociale. Il CsO attraversa natura e società indifferentemente.
Il CsO è piuttosto il limite verso cui tende il processo di desiderio, e allo stesso tempo la superficie di registrazione delle intensità prodotte dalle macchine desideranti. Pensatelo così: le macchine desideranti sono in movimento perpetuo, connettono, disconnettono, producono flussi, ma questi flussi devono registrarsi da qualche parte, devono lasciare tracce, costituire territori, creare zone di intensità. Questa superficie di registrazione è il CsO. Usiamo una metafora (che D&G stessi usano): il CsO è come un uovo, l’uovo prima della differenziazione in organi. C’è vita, c’è intensità, ma non ancora organizzazione gerarchica in cuore-fegato-polmoni con funzioni assegnate, è pura potenzialità intensiva. Le macchine desideranti lavorano su questa superficie, la stratificano, la organizzano, creano territori, ma c’è sempre una tensione, il CsO tende a respingere l’organizzazione troppo rigida. Vuole mantenere aperta la possibilità di altre connessioni, altri flussi.
Ecco il punto fondamentale. Il CsO e le macchine desideranti sono in repulsione reciproca, ma si presuppongono a vicenda. Le macchine desideranti vogliono connettersi, produrre, stratificare, ma il CsO resiste. È ciò che Artaud chiamava “il corpo pieno”, la superficie liscia che respinge le organizzazioni. Se le macchine stratificassero completamente il CsO, lo trasformerebbero in organismo chiuso, e il desiderio si bloccherebbe. Ma allo stesso tempo, il CsO ha bisogno delle macchine. Un CsO completamente vuoto, senza alcuna stratificazione, sarebbe corpo catatonico, morto, pietrificato. È quello che succede in certe psicosi estreme, il soggetto si ritira in un CsO completamente desertico, respinge ogni connessione, risultato: catatonia, blocco totale. Quindi la relazione corretta è di tensione produttiva. Il desiderio funziona nell’oscillazione tra organizzazione (stratificazione del CsO in territori, organi, funzioni) e disorganizzazione (scioglimento delle stratificazioni troppo rigide)
Possiamo, con D&G produrre esempi concreti di CsO. Il corpo ipocondriaco. L’ipocondriaco sente il suo corpo come superficie intensiva dolorosa, attraversata da sensazioni diffuse che non si localizzano in organi specifici. “Mi fa male dappertutto ma non ho niente” – dice al medico. È il CsO che si fa sentire, prima della sua organizzazione in organi diagnosticabili. Il corpo del drogato. La droga produce un CsO particolare. Gli organi continuano a funzionare biologicamente, ma soggettivamente sono “messi tra parentesi”, il drogato sperimenta il suo corpo come superficie di intensità pure (il “flash”, il “trip”), non come organismo con bisogni biologici (fame, sonno, sesso perdono importanza). Il corpo masochista. Nel masochismo, il dolore non è vissuto come segnale di allarme dell’organismo (funzione biologica dell’organo-pelle), è trasformato in pura intensità erotica che si distribuisce sul CsO. Il corpo diventa superficie di registrazione del dolore-piacere. Il corpo schizofrenico. Per lo schizofrenico, gli organi si dissociano dalla loro organizzazione corporea. “Mi rubano i pensieri”, “mi hanno messo una macchina nel ventre. Gli organi diventano macchine autonome, e il corpo è vissuto come CsO attraversato da influenze esterne. Vedete il pattern? In tutti questi casi, c’è un’esperienza del corpo che sfugge all’organizzazione “normale”, gerarchica, funzionale. Il CsO emerge quando l’organismo viene de-organizzato (ma non distrutto).
Il secondo capitolo de L’Anti-Edipo ha un titolo che è già una dichiarazione di guerra alla psicoanalisi tradizionale: Psicoanalisi e familiarismo: la sacra famiglia. In questo capitolo, D&G analizzano proprio il rapporto (spesso conflittuale o di sottomissione) tra la produzione desiderante (l’inconscio come fabbrica) e la produzione sociale (la società come grande macchina di potere). Ecco come si articolano questi due concetti e perché il “familiarismo” è l’ostacolo da abbattere. La tesi più radicale di D&G è che non c’è differenza di natura tra il desiderio e il sociale. Freud pensava che il desiderio fosse una forza biologica “privata” che la società deve reprimere per sopravvivere (il disagio della civiltà). Per D&G il desiderio è già sociale, le macchine desideranti sono le stesse macchine sociali. Quando desideri, non desideri “tua madre”, ma desideri un intero mondo, un clima, una razza, una classe sociale, una tecnologia. “Il desiderio non è un fatto di scena familiare, ma di investimento di un campo sociale e storico.” Se la produzione desiderante è puro flusso creativo e caotico, la produzione sociale ha il compito di organizzare, canalizzare e “codificare” questi flussi per farli servire a uno scopo collettivo (produzione di merci, mantenimento del potere). La società ha paura del desiderio perché è una forza che può far saltare ogni sistema. Per controllare il desiderio, la produzione sociale deve territorializzarlo, cioè dargli un confine. Qui arriviamo al titolo del secondo capitolo. D&G accusano la psicoanalisi di aver fatto il “lavoro sporco” per conto della produzione sociale capitalista attraverso l’Edipo: ridurre tutti i flussi del desiderio (che investono il mondo, la fabbrica, la rivoluzione, il cosmo) a un piccolo dramma fra tre persone: Papà, Mamma, Io. Invece di farci vedere come il nostro desiderio sia legato alla politica o all’economia, la psicoanalisi ci costringe a dire: “Ah, questo mio desiderio per il potere è solo il desiderio di sostituire mio padre”. In questo modo, il desiderio viene privatizzato e reso innocuo e la “Sacra Famiglia” diventa la cella in cui il desiderio viene rinchiuso affinché non disturbi la produzione sociale.
La teoria marxista classica distingue tra struttura, base economica, forze produttive, rapporti di produzione e sovrastruttura, ideologia, cultura, politica, psiche. Il desiderio, in questo schema, starebbe nella sovrastruttura, sarebbe un effetto secondario dei rapporti economici di base. Anche Freud, in fondo, mantiene un dualismo simile. Base pulsionale, Es, energia libidica, pulsioni biologiche e sovrastruttura sociale, Super-io, rimozione, simbolizzazione. Il desiderio individuale sarebbe nella base, la società lo reprime e lo canalizza. D&G rifiutano entrambi gli schemi. La loro tesi è che c’è solo una produzione, quella desiderante, che si esprime a tutti i livelli senza distinzione. Quando l’operaio lavora in fabbrica, non c’è da una parte la “produzione economica” (oggettiva, materiale) e dall’altra il suo “desiderio” (soggettivo, psichico), c’è una macchina desiderante unica, operaio-macchina connesso a macchina-fabbrica, che produce merci, plusvalore, ma anche intensità libidinali, distribuzione di piacere/dispiacere sul corpo.
Il desiderio investe direttamente le formazioni sociali, non attraverso mediazioni familiari. L’operaio non desidera il padrone “come se fosse” il padre. No: desidera il padrone in quanto padrone, desidera la fabbrica in quanto fabbrica, investe libidicamente il sistema di produzione in quanto tale. Questo spiega qualcosa che il marxismo classico non riusciva a spiegare: perché le masse possono desiderare la propria oppressione? Perché il fascismo ha trovato un investimento libidinale di massa? Risposta: perché il desiderio non è automaticamente progressista o rivoluzionario. Il desiderio può investire formazioni sociali reazionarie, può desiderare la gerarchia, il capo, la disciplina. Il fascismo non è “falsa coscienza” (categoria ideologica), è un investimento desiderante specifico. A tale proposito, D&G distinguono due grandi modalità di investimento libidinale del campo sociale: Investimento paranoico (o segregativo): desidera l’unità, l’identità, la totalità chiusa; cerca il centro, il capo, l’autorità; teme la molteplicità, la differenza, la contaminazione; territorializza, ricodifica, stabilizza; Forme storiche: impero, fascismo, Stato centralizzato. Investimento schizofrenico (o nomade): desidera la molteplicità, la proliferazione, l’apertura; fuga dal centro, de-territorializza; accoglie la differenza, la mescolanza, la contaminazione; decodifica, destratifica, fa scorrere i flussi; forme storiche: nomadismo, rivoluzione, linee di fuga. Questi non sono “tipi psicologici” à la Jung, sono tendenze del desiderio che attraversano tutti noi e tutte le formazioni sociali. La stessa persona può avere investimenti paranoici su certe questioni (la sessualità, la famiglia) e investimenti schizofrenici su altre (il lavoro, l’arte).
Il capitalismo è il sistema sociale che spinge più lontano la decodificazione dei flussi. Distrugge tutte le forme tradizionali, la terra non è più territorio sacro degli antenati, è merce; il lavoro non è più vocazione o appartenenza a una casta, è forza-lavoro venduta; il denaro non è più simbolo di status, è equivalente universale astratto; le relazioni umane non sono più determinate da sangue o tradizione, ma da contratto. Marx aveva già mostrato tutto questo. Il capitalismo è radicalmente deterritorializzante, scioglie tutto ciò che è solido, profana tutto ciò che è sacro. Ma – ed è qui la tesi originale di D&G – il capitalismo non può andare fino in fondo nella decodificazione. Perché se decodificasse completamente, se sciogliesse ogni forma sociale, non potrebbe più funzionare come sistema. Avrebbe bisogno di flussi minimamente codificati, canalizzati, territorializzati. Ed ecco dove entra Edipo.
Concludiamo questo primo articolo con un’anticipazione del tema che svilupperemo nei prossimi articoli, il ruolo della famiglia edipica come macchina di ricodificazione. Nel capitalismo avanzato, tutte le territorialità tradizionali sono dissolte, non conta più da quale clan vieni; non conta più quale sia la tua casta, non conta più quale terra coltivi. L’unica “territorialità” che rimane è la famiglia nucleare. Papà-mamma-bambino. Questa diventa l’ultimo rifugio di un’identità stabile in un mondo deterritorializzato. E cosa fa la psicoanalisi? Prende tutto il desiderio – che in realtà investe l’intera società, l’economia, le macchine di produzione – e lo ripiega sulla famiglia. “Desideri il tuo capo? In realtà è tuo padre.” “Desideri la rivoluzione? In realtà è complesso edipico irrisolto.” “Desideri altri uomini/donne? In realtà non hai superato l’Edipo.” Qualunque investimento sociale, politico, economico viene ricondotto al triangolo familiare. La psicoanalisi opera una gigantesca riduzione privatizzante del desiderio.
D&G fanno un’affermazione scandalosa: la nevrosi non è una struttura psichica universale. È una produzione storica del capitalismo. Nelle società precapitalistiche, le forme di follia dominanti erano altre (possessione, stregoneria, estasi mistica). La nevrosi come forma standardizzata – ossessioni, isterie, angosce – emerge con la borghesia industriale. Perché? Perché la nevrosi è il modo in cui un soggetto interiorizza il conflitto tra le tendenze decodificanti del capitalismo (dissolvi tutto, sii flessibile, cambia) e le necessità ricodificanti (ma rimani nella famiglia, accetta l’autorità, non eccedere). Il nevrotico è colui che ha interiorizzato Edipo come struttura psichica, ha fatto propria la triangolazione papà-mamma-bambino come matrice di ogni desiderio. Ed è per questo che può essere “curato” dalla psicoanalisi: viene confermato nella sua gabbia edipica, gli si insegna ad accettarla meglio. Lo schizofrenico, invece, è colui su cui l’edipizzazione non ha preso completamente. I suoi desideri non passano per papà-mamma. Investono direttamente le macchine sociali, cosmiche, tecnologiche. Per questo lo schizofrenico è terrificante per l’ordine sociale. Non perché sia violento o pericoloso (solitamente non lo è), ma perché mostra che è possibile desiderare altrimenti, che il desiderio può sfuggire alla triangolazione familiare. La psichiatria e la psicoanalisi hanno come funzione sociale (anche se inconscia) di riportare lo schizofrenico nell’Edipo. “Devi accettare di essere figlio, devi riconoscere il padre, devi elaborare il lutto della madre.” Operazione di normalizzazione, di ricodificazione forzata.
Fermiamoci qui per ora. Abbiamo gettato le basi fondamentali: L’inconscio non è teatro di rappresentazioni ma fabbrica produttiva; Il desiderio non nasce da mancanza ma è produzione positiva di flussi; Le macchine desideranti funzionano attraverso tre sintesi: connettiva, disgiuntiva, congiuntiva; Il corpo senza organi è la superficie di registrazione delle intensità, in tensione con le macchine; produzione desiderante e produzione sociale sono identiche, non c’è dualismo; il capitalismo decodifica i flussi ma deve ricodificare: Edipo è la macchina di ricodificazione borghese. Nei prossimi articoli approfondiremo esattamente come funziona questa edipizzazione, analizzeremo i diversi regimi di codificazione sociale (macchina territoriale, macchina dispotica, macchina capitalistica), e vedremo perché D&G parlano di “triangolo familiare” come prigione del desiderio.