Nell’articolo precedente abbiamo gettato le basi dell’apparato concettuale dell’Anti-Edipo: le macchine desideranti, le tre sintesi, il corpo senza organi, la critica dell’Edipo. Oggi approfondiamo questi concetti e cominciamo a vedere come D&G li utilizzano per leggere la storia e la società. Passeremo più tempo su aspetti che finora abbiamo solo sfiorato, e cominceremo a capire come tutto questo si collega al capitalismo e alla questione politica.
Il corpo senza organi (CsO) è probabilmente il concetto più difficile dell’Anti-Edipo, e non a caso sarà ripreso e sviluppato in Millepiani. È un concetto paradossale, quasi ossimorico: come può un corpo essere senza organi? La chiave sta nel capire che D&G non intendono letteralmente un corpo privo di organi anatomici. Il CsO si oppone non agli organi in quanto tali, ma all’organismo, cioè all’organizzazione gerarchica e funzionale degli organi che la biologia, la medicina, la società impongono al corpo. Ricordiamo la frase di Artaud che abbiamo citato la volta scorsa: “Il corpo è il corpo / è solo / e non ha bisogno d’organo / il corpo non è mai un organismo / gli organi sono i nemici del corpo.” Cosa significa? Che il corpo vissuto, intensivo, desiderante, è ridotto a organismo dalla rappresentazione medico-sociale. Il cuore diventa “la pompa che fa circolare il sangue”, lo stomaco “l’organo della digestione”, e così via. Ogni organo riceve una funzione, un posto, un’identità fissa. Il corpo viene trasformato in una macchina biologica organizzata secondo un piano prestabilito.
Ma il corpo, prima di essere organismo, è superficie di intensità. È attraversato da flussi, energie, sensazioni che non hanno nulla a che fare con le funzioni organiche. Pensate all’esperienza del dolore, del piacere, dell’angoscia, spesso non sono “localizzabili” in un organo specifico, attraversano il corpo come onde, si propagano, mutano, si trasformano. Il CsO è questa dimensione pre-organica, o meglio anti-organica, del corpo, è il corpo come campo di intensità, come superficie su cui si inscrivono e si distribuiscono energie desideranti. D&G scrivono: “Il corpo senza organi è la materia che riempie sempre lo spazio a tale o talaltro grado di intensità” (AE). Non è vuoto, è pieno – ma pieno di intensità, non di organi funzionali.
Ora, il rapporto tra CsO e macchine desideranti (gli organi-macchine) è ambivalente. Da un lato, il CsO attira a sé le macchine desideranti. Ha bisogno di loro per funzionare, per produrre intensità. Dall’altro, respinge le macchine desideranti, perché esse tendono a organizzarsi, a stratificarsi, a formare un organismo che irrigidisce e blocca il flusso delle intensità. È un po’ come se il CsO dicesse: “Sì, ho bisogno di organi per funzionare, ma non voglio essere ridotto a un’organizzazione fissa di questi organi”. Vuole gli organi come intensità, non come funzioni. Questa tensione è fondamentale. Il CsO non è un ideale di corpo perfetto, liberato, spontaneo, è una lotta permanente contro l’organizzazione, contro la stratificazione. In Millepiani, D&G saranno ancora più chiari: il CsO non è qualcosa da raggiungere una volta per tutte, è un’operazione continua di destratificazione. E bisogna stare attenti, perché destratificare troppo velocemente o troppo radicalmente porta alla morte, alla distruzione del corpo stesso.
Nell’Anti-Edipo, D&G distinguono tre figure principali di CsO: Il corpo ipocondriaco: il corpo vissuto come pura intensità dolorosa, senza organizzazione. L’ipocondriaco sente dolori ovunque, intensità che si spostano, che non corrispondono a nessuna lesione organica. È come se il suo corpo si rifiutasse di essere organismo. Il corpo paranoico: il corpo vissuto come superficie su cui si inscrivono influenze, persecuzioni, complotti esterni. Il paranoico attribuisce al CsO forze nemiche, potenze maligne che lo attaccano. È un CsO “occupato” da forze esterne. Il corpo schizofrenico: il corpo come pura dispersione intensiva. Lo schizofrenico non ha più un’identità corporea stabile. È attraversato da flussi che non formano un’unità. È il corpo come processo, come divenire puro. Queste tre figure sono anche tre modi in cui il desiderio può investire il socius. Sono modalità patologiche, certo, ma per D&G rivelano qualcosa di essenziale sul funzionamento del desiderio e del corpo. Ma vediamo brevemente cos’è il socius (entreremo più in profondità nei prossimi articoli).
È l’istanza di produzione sociale che funge da “corpo pieno” o superficie di registrazione su cui vengono iscritti e codificati i flussi del desiderio, apparendo impropriamente come la fonte stessa della produzione (mentre ne è solo il supporto o la condizione di possibilità). Non produce il desiderio, ma lo organizza e lo “marca” secondo codici sociali (territoriali, dispotici o capitalisti). Funge da entità totale (la Terra, il corpo del Re, il Capitale) che attrae a sé le forze produttive. Agisce convincendo i soggetti che tutto ciò che viene prodotto derivi dal socius stesso, nascondendo la vera natura molecolare del desiderio.
Fermiamoci un momento per un sintetico vocabolario filosofico dell’Anti-Edipo e, oltre al socius, definito sopra, vediamo altri tre concetti capitali: flusso, desiderio e macchine desideranti. Flusso: la materia prima e continua della realtà, una corrente di energia, segni o materia che attraversa il mondo senza interruzioni originarie. Nell’Anti-Edipo, ogni flusso è sempre tagliato e filtrato da “macchine desideranti” che ne prelevano una parte per produrre qualcosa di nuovo. Desiderio: una forza produttiva e immanente che agisce come un processo di montaggio tra macchine. Non è definito dalla “mancanza” (come nella psicoanalisi classica), ma dalla capacità di connettere flussi, creare legami e produrre realtà. Il desiderio è “macchinico”: funziona, produce e non smette mai di cercare nuove connessioni. In sintesi, se il flusso è l’energia che scorre, il desiderio è il motore (la macchina) che lo capta e lo trasforma in produzione sociale e psichica. Macchine desideranti: sono le unità minime e costitutive della realtà, definite non dalla loro struttura ma dal loro funzionamento. Operano attraverso un sistema di “tagli” e “prelievi” sui flussi (di materia, energia o segni), collegandosi costantemente l’una all’altra secondo una logica di accoppiamento continuo (Macchina+Flusso→Produzione). Produzione di realtà: a differenza del desiderio inteso come sogno o fantasia (psicoanalisi), le macchine desideranti producono il reale stesso; sono laboratori, non teatri. Carattere molecolare: esistono a un livello sub-individuale e sub-sociale; non appartengono a un “Io”, ma sono l’infrastruttura di ogni desiderio. Immanenza: non c’è un’istanza superiore che le guida; funzionano finché sono connesse, rompendosi e riparandosi continuamente in un processo di produzione incessante.
Uno degli aspetti più radicali dell’Anti-Edipo è la tesi dell’identità reale tra produzione desiderante e produzione sociale. Non si tratta di un’analogia, non si tratta di dire “il desiderio funziona come l’economia” o “la società funziona come una macchina desiderante”. Si tratta di dire che sono la stessa cosa. Questa tesi è in rottura frontale con tutta la tradizione filosofica e psicoanalitica. Platone distingueva il mondo delle idee dal mondo sensibile. Kant distingueva fenomeno e noumeno. Marx distingueva struttura (economia) e sovrastruttura (ideologia, cultura). Freud distingueva principio di realtà (produzione sociale, lavoro, rinuncia) e principio di piacere (desiderio, fantasia, sogno). D&G rifiutano tutte queste dualismi. Non c’è una produzione economica “reale” e una produzione fantasmatica “immaginaria”. C’è un’unica produzione: la produzione desiderante, che assume forme diverse a seconda del regime sociale in cui si iscrive.
Questo significa che il desiderio non si limita a investire oggetti privati, personali, familiari (la mamma, il papà, i fratelli). Il desiderio investe direttamente il campo sociale, investe il re, il capitale, lo Stato, la fabbrica, la guerra, la rivoluzione. Esempio concreto che D&G citano spesso: Wilhelm Reich, psicoanalista marxista eretico, si chiedeva: “Come è stato possibile che le masse tedesche abbiano desiderato il fascismo?” Non “come sono state ingannate”, ma “come hanno desiderato la loro oppressione?” La risposta di Reich, che D&G riprendono e radicalizzano, è: il desiderio investe immediatamente il campo sociale, non solo la famiglia. Le masse tedesche non hanno desiderato Hitler perché questi rappresentava il padre, ma perché investivano libidicamente il nazismo come formazione sociale. Desideravano davvero l’ordine, la purezza razziale, la guerra, lo sterminio. Questo è il punto politico cruciale dell’Anti-Edipo: il desiderio non è mai ingannato. L’interesse può essere ingannato (le masse possono credere che il fascismo serva i loro interessi economici, mentre in realtà li danneggia), ma il desiderio no. Se desiderano il fascismo, è perché il fascismo risponde a una struttura libidica precisa. Poiché il desiderio investe il reale, esso è sempre “vero” nella sua produzione. L’inganno avviene solo a livello della coscienza e della rappresentazione (gli interessi), ma non al livello dell’inconscio produttivo. In sintesi, il desiderio non è ingannabile perché è una forza che costruisce la realtà anziché limitarsi a rifletterla: se un sistema repressivo esiste, è perché è stato investito dal desiderio di chi vi partecipa, indipendentemente dal fatto che ciò vada contro i suoi interessi razionali.
Qui D&G si separano nettamente dal freudo-marxismo (Reich, Marcuse). Questi autori cercavano di “conciliare” Marx e Freud, dicendo che l’economia determina la struttura sociale (Marx), ma la famiglia e la sessualità determinano la psiche (Freud), e quindi bisogna cambiare sia l’economia che la famiglia per liberare l’uomo. Per D&G questa è ancora una soluzione dualistica, che continua a distinguere economia (struttura) e desiderio (sovrastruttura). Invece bisogna capire che il desiderio è la struttura. Non c’è economia senza investimento libidico, non c’è produzione sociale che non sia, immediatamente, produzione desiderante. Questo non significa che l’economia sia “solo” desiderio (non è idealismo). Significa che l’economia è sempre attraversata dal desiderio, che il capitalismo stesso è una macchina desiderante, e che per cambiare l’economia bisogna cambiare i regimi del desiderio.
D&G propongono una lettura della storia universale basata su un unico criterio: i regimi di codificazione dei flussi di desiderio. Ogni società è una macchina che ha il compito di catturare, incanalare, codificare i flussi desideranti che altrimenti scorrerebbero in modo anarchico e distruttivo. Il grande terrore delle società umane è sempre stato lo stesso, i flussi decodificati, cioè i flussi di desiderio che scorrono senza controllo, che non obbediscono a nessun codice, a nessuna legge, a nessuna gerarchia. Ogni società, per sopravvivere, deve impedire questa decodificazione selvaggia. Ma le modalità di codificazione cambiano radicalmente nel corso della storia.
D&G distinguono tre grandi regimi: La macchina territoriale primitiva. Nelle società primitive (che i due autori chiamano anche “selvagge”, senza connotazione dispregiativa), il corpo pieno su cui si inscrive il desiderio è la Terra. Non la terra come proprietà privata o statale, ma la Terra come grande superficie madre, indivisa, sacra. In queste società, il desiderio viene codificato attraverso alleanze (matrimoni, scambi, doni) e filiazioni (lignaggi, clan, tribù). Tutto è regolato: chi può sposare chi, chi può abitare dove, cosa si può mangiare, come si devono onorare gli antenati. I codici sono estremamente rigidi, perché la società primitiva ha terrore della decodificazione, ha terrore che i flussi (di donne, di beni, di parole) sfuggano al controllo e distruggano l’ordine sociale. Il corpo viene direttamente “segnato” attraverso tatuaggi, scarificazioni, rituali iniziatici. L’iscrizione è letterale, fisica, crudele e la crudeltà non è casuale: serve a imprimere la memoria, a fare in modo che i codici siano indimenticabili, scolpiti nel corpo stesso. D&G non idealizzano le società primitive, non dicono che sono “libere” o “naturali”, anzi, sono società di controllo totale, dove ogni flusso è codificato. Ma sono società senza Stato, perché la codificazione è immanente, orizzontale, distribuita e non c’è un potere separato che trascende la società.
La macchina dispotica barbarica. A un certo punto della storia (e qui D&G sono molto vaghi sulle cause, parlano di una “contingenza assoluta”), emerge una nuova macchina sociale: lo Stato. Il corpo pieno non è più la Terra, ma il corpo del Despota, del sovrano. Nelle società dispotiche (gli imperi antichi: Egitto, Mesopotamia, Cina, Impero Romano), tutti i flussi vengono “ricodificati” attraverso il Despota. Il Despota non nega i codici territoriali precedenti, ma li sovracodifica, li fa passare attraverso di sé, li centralizza, li trascende. Prima, i clan si scambiavano donne secondo codici di alleanza, ora, il Despota si arroga il diritto di sposare tutte le donne (harem), di essere il padre simbolico di tutti i sudditi, di possedere tutte le terre. Diventa il grande significante, il punto di convergenza di tutti i flussi. L’iscrizione non avviene più sul corpo (tatuaggi), ma su supporti esterni, tavole di pietra, papiri, scrittura. La legge diventa trascendente, separata, codificata per iscritto. E il debito diventa infinito: non è più il debito concreto, limitato, delle società primitive (se ti dono una donna, tu mi devi un dono equivalente). È il debito cosmico, teologico: sei in debito con Dio, con il Despota, con la Legge, e questo debito non potrai mai estinguerlo. Qui nasce la colpa come struttura psichica fondamentale, il soggetto interiorizza il debito infinito, si sente eternamente colpevole, eternamente in difetto. Freud aveva intuito qualcosa di questo nella sua analisi della nevrosi ossessiva, ma secondo D&G non aveva capito che questa struttura psichica è storicamente prodotta dalla macchina dispotica, non è universale.
La macchina capitalistica civilizzata. E poi arriva il capitalismo. Qui avviene qualcosa di radicalmente nuovo e sconvolgente, i flussi vengono decodificati. Il capitalismo è la prima formazione sociale che, per funzionare, ha bisogno di distruggere tutti i codici precedenti. Decodificazione della terra: la terra diventa proprietà privata, comprabile e vendibile, non è più sacra, non è più del Despota, è una merce. Decodificazione del lavoro: il lavoratore non è più servo della gleba, legato alla terra e al signore da vincoli feudali, è “libero” di vendere la sua forza-lavoro a chi vuole, è deterritorializzato, sradicato. Decodificazione della moneta: la moneta non è più semplice mezzo di scambio, diventa capitale, cioè denaro che produce altro denaro (D-M-D’). Decodificazione dei valori: i valori religiosi, cavallereschi, aristocratici vengono spazzati via, conta solo il profitto, l’accumulazione, l’efficienza. Marx aveva descritto brillantemente questo processo nel Manifesto: “La borghesia ha dissolto la dignità personale nel valore di scambio”. Tutto ciò che era solido si dissolve nell’aria. Ma – e questo è il punto cruciale – il capitalismo non può accontentarsi di decodificare. Se i flussi scorressero completamente liberi, decodificati, il capitalismo stesso crollerebbe, cadrebbe nella sua tendenza schizofrenica, dissoluzione totale, flussi impazziti, deterritorializzazione assoluta. Quindi il capitalismo deve contemporaneamente decodificare e ricodificare, ma non può farlo con i vecchi codici (territoriali o dispotici), perché questi bloccherebbero la sua dinamica. Deve inventare una nuova forma di cattura dei flussi: l’assiomatica.
Qui bisogna fare molta attenzione perché D&G usano un termine tecnico preso dalla matematica in modo metaforico, ma non arbitrario. In matematica, un’assiomatica è un sistema formale in cui si stabiliscono pochi assiomi di base (proposizioni assunte come vere senza dimostrazione) e da questi si deducono tutte le conseguenze possibili. L’esempio classico è la geometria euclidea, cinque assiomi, e da questi si ricava tutta la geometria. Il punto chiave è che un’assiomatica non dice cosa sono gli enti di cui parla. Non definisce “cosa è un punto”, “cosa è una retta”. Definisce solo le relazioni tra questi enti: “due punti determinano una retta”, “per un punto esterno a una retta passa una sola parallela”, ecc. In altre parole, un’assiomatica è puramente formale, relazionale, quantitativa, non si preoccupa di dare senso, significato, qualità agli elementi. Si preoccupa solo di stabilire rapporti.
Il capitalismo funziona esattamente così. Non ha bisogno di codificare i flussi nel senso tradizionale, cioè di dare loro un senso, un significato, un posto fisso nella società. Gli basta stabilire rapporti quantitativi tra i flussi. Non importa cosa produci (se è utile, se è bello, se serve alla comunità), importa solo il rapporto tra costi di produzione e prezzo di vendita; non importa chi sei (nobile o plebeo, credente o ateo, maschio o femmina – almeno in linea di principio), importa solo quanto denaro possiedi, cioè il tuo rapporto con il capitale; non importa perché lavori (per onore, per dovere, per vocazione), importa solo il rapporto tra il salario che ricevi e la forza-lavoro che vendi. Il capitalismo traduce tutto in rapporti quantitativi, differenziali, è indifferente ai contenuti, alle qualità, è un sistema di pura astrazione. E questa è la sua forza mostruosa: può catturare e far funzionare flussi che nelle società precedenti sarebbero stati inconcepibili, intollerabili, può far lavorare insieme cattolici e musulmani, perché il denaro è indifferente alla religione, può mettere sullo stesso mercato merci sacre e merci profane, perché tutto ha un prezzo.
Un’assiomatica, inoltre, è espandibile: si possono sempre aggiungere nuovi assiomi per catturare nuovi fenomeni. In Millepiani, D&G danno esempi concreti: quando le donne cominciano a rivendicare diritti, il capitalismo non “respinge” queste rivendicazioni (come avrebbe fatto una società codificata), ma aggiunge un assioma: “Le donne possono lavorare fuori casa”; quando gli ecologisti protestano, si aggiunge un assioma: “L’inquinamento ha un costo”, e così via. L’assiomatica capitalistica è quindi estremamente flessibile, molto più dei codici rigidi delle società precedenti. Ma questa flessibilità non è libertà, è una cattura ancora più totale, pervasiva, onnivora.
Ma l’assiomatica ha un problema: non può catturare tutto. Ci sono flussi che le sfuggono, che non si lasciano assiomatizzare, che eccedono qualsiasi quantificazione. Questi flussi sono i flussi schizofrenici, i flussi che vanno verso il limite estremo della deterritorializzazione. È qui che entra in scena la schizofrenia come limite del capitalismo. Lo schizofrenico è colui che porta la logica del capitalismo (decodificazione, deterritorializzazione) fino alle sue conseguenze estreme, non si fa ricodificare, non accetta l’assiomatica, continua a produrre flussi che sfuggono a ogni cattura. E il capitalismo, di fronte a questo limite, oscilla tra due poli: Polo paranoico, tentativo di ricodificare brutalmente, di ristabilire ordine, gerarchia, identità. È il fascismo come soluzione paranoica alla crisi capitalistica, riterritorializzazione forzata, violenta, totalitaria. Polo schizofrenico: accelerazione della deterritorializzazione, fuga in avanti, crollo di ogni limite. È la crisi, il panico, l’implosione del sistema. Il capitalismo vive sempre tra questi due poli, cercando un impossibile equilibrio.
Ora possiamo capire meglio la critica dell’Edipo. Abbiamo detto che il capitalismo decodifica tutti i flussi sociali: non c’è più la Terra sacra, non c’è più il Despota-Dio, non ci sono più i valori tradizionali, ma questa decodificazione è terrificante, produce angoscia, smarrimento. Il capitalismo ha quindi bisogno di una ricodificazione di riserva, di un’isola di stabilità in mezzo al mare agitato dei flussi decodificati. E questa isola è la famiglia nucleare borghese. La famiglia diventa il luogo in cui i flussi sociali vengono tradotti, miniaturizzati, privatizzati, tutti gli investimenti libidici del campo sociale (il capo, lo Stato, il capitale, la classe, la nazione) vengono ricondotti alle figure di papà-mamma-bambino. Vuoi investire libidicamente l’autorità? Non puoi investire direttamente il padrone, il capo, lo Stato (sarebbe troppo pericoloso, troppo destabilizzante), devi investire il padre, il padre diventa il rappresentante di tutte le figure di autorità. Vuoi investire libidicamente la mancanza, il desiderio impossibile? Non puoi investire direttamente il capitale (che è sempre mancante, sempre sfuggente, sempre al di là della presa), devi investire la madre, l’oggetto perduto, il seno originario.
E qui entra in scena la psicoanalisi, la quale dice: “Sì, hai ragione, desideri tua madre, odi tuo padre, vuoi prendere il posto del padre”. Ti conferma che tutti i tuoi desideri passano per la famiglia. E poi ti “cura”, ti insegna a rinunciare al desiderio incestuoso, ad accettare la Legge del Padre, a sublimare (cioè a spostare il desiderio su oggetti socialmente accettabili, il lavoro, la cultura, la creazione artistica). In altre parole, la psicoanalisi edipizza l’inconscio, trasforma l’inconscio-fabbrica in inconscio-teatro, trasforma le macchine desideranti in rappresentazioni familiari, trasforma i flussi sociali in fantasmi privati. E questo, per D&G, è il suo ruolo storico-sociale, è la polizia dell’inconscio. Non in senso polemico o esagerato, ma nel senso preciso che la psicoanalisi ha la funzione di impedire che il desiderio investa direttamente il campo sociale, che diventi rivoluzionario, che metta in discussione l’ordine capitalistico.
Ora, si potrebbe obiettare: “Se è così, perché la psicoanalisi ha avuto tanto successo? Perché non è stata rifiutata come un inganno grossolano?” La risposta di D&G è sottile. La psicoanalisi funziona perché c’è Edipo. Edipo non è un’invenzione di Freud, non è una mistificazione, è una produzione reale del capitalismo. La famiglia borghese produce effettivamente una triangolazione papà-mamma-bambino, produce effettivamente investimenti libidici che passano per la famiglia. Il problema non è che Freud ha inventato Edipo, ma che ha preso Edipo come universale, come struttura eterna dell’inconscio, mentre invece Edipo è storicamente prodotto dal capitalismo come forma di ricodificazione. In altre parole: la psicoanalisi descrive correttamente l’inconscio borghese, l’inconscio edipizzato. Il suo errore è non vedere che questo inconscio è prodotto da un regime sociale specifico, e che quindi è possibile un altro inconscio, un inconscio non-edipico, un inconscio rivoluzionario.
Se la psicoanalisi edipizza, la schizoanalisi deve de-edipizzare. Deve liberare il desiderio dalla gabbia familiare, deve riportarlo ai suoi veri investimenti, al campo sociale. La schizoanalisi non è una nuova tecnica terapeutica (D&G non hanno mai fatto schizoanalisi concretamente). È un progetto teorico-politico, analizzare come il desiderio investe il campo sociale, individuare le linee di fuga, le deterritorializzazioni potenziali, le possibilità rivoluzionarie. Analizzare, per esempio, come le masse hanno investito libidicamente il fascismo (l’abbiamo visto sopra). Non per dire “erano ingannate, manipolate”, ma per dire “hanno desiderato certe cose, hanno investito certi flussi, e dobbiamo capire perché”. Solo così si può sperare di impedire che accada di nuovo.
D&G distinguono due grandi modalità di investimento libidico del campo sociale: Investimento paranoico (o reazionario): il desiderio investe formazioni sociali totalizzanti, unificanti, gerarchiche. Investe il Despota, il Führer, la Nazione, la Razza. Cerca sicurezza, identità, ordine. Ha terrore della deterritorializzazione, dei flussi decodificati. Vuole ristabilire i codici, le frontiere, le gerarchie. Investimento schizofrenico (o rivoluzionario): il desiderio investe le linee di fuga, le deterritorializzazioni, le molteplicità. Non cerca identità ma metamorfosi. Non teme i flussi decodificati, anzi li spinge oltre. Vuole distruggere i codici, le assiomatiche, gli apparati di cattura. Questi due investimenti non corrispondono necessariamente agli interessi di classe. Un operaio può avere investimenti paranoici (desiderare la Nazione, l’Ordine, il Lavoro), e un borghese può avere investimenti schizofrenici (desiderare la distruzione, il caos, la fuga). Ed è per questo che la rivoluzione è così difficile. Non basta cambiare le condizioni economiche. Bisogna cambiare il regime del desiderio, bisogna produrre investimenti schizofrenici al posto di quelli paranoici.
Ma come si cambia il regime del desiderio? D&G danno una risposta ambigua, provocatoria, che sarà ripresa e radicalizzata da Nick Land (di cui parleremo alla fine del nostro studio):
“Forse, infatti, i flussi non sono ancora abbastanza deterritorializzati, abbastanza decodificati, dal punto di vista di una teoria e di una pratica dei flussi ad alto tenore schizofrenico. Non ritirarsi dal processo, ma andare più lontano, accelerare il processo come diceva Nietzsche” (AE).
In altre parole, la rivoluzione non consiste nel “frenare” il capitalismo, nel tornare a forme di codificazione precedenti (la comunità, la nazione, la tradizione), consiste nell’accelerare la deterritorializzazione capitalistica, spingerla fino al punto in cui l’assiomatica stessa salta, in cui i flussi sfuggono definitivamente ad ogni cattura. Questa idea è vertiginosa e pericolosa. Alcuni l’hanno intesa come: “Liberiamo completamente il mercato, la tecnologia, i flussi capitalisti, e alla fine il capitalismo si autodistruggerà”. È la lettura accelerazionista che farà Nick Land negli anni ’90. Ma D&G, nell’Anti-Edipo, sono più prudenti. Dicono, sì, bisogna andare oltre il capitalismo accelerando, ma con una schizoanalisi, con una comprensione chiara dei meccanismi di cattura. Non è un suicidio collettivo, è un’operazione chirurgica, delicata, pericolosa. Torneremo su questo negli ultimi articoli, quando affronteremo direttamente Land e la sua interpretazione estrema di D&G.
Fermiamoci qui. Abbiamo approfondito: Il corpo senza organi come superficie intensiva e come lotta contro l’organismo; l’identità reale tra produzione desiderante e produzione sociale; i tre grandi regimi sociali: macchina territoriale, macchina dispotica, macchina capitalistica; la distinzione cruciale tra codice e assiomatica; Edipo come ricodificazione capitalistica nella famiglia, e la psicoanalisi come suo garante; la schizoanalisi come progetto di liberazione del desiderio e i due poli dell’investimento libidico; il problema dell’accelerazione come strategia rivoluzionaria. Nel prossimo articolo entriamo nel cuore del terzo capitolo dell’Anti-Edipo, quello sulla storia universale. Vedremo nei dettagli come funzionano le tre macchine sociali, come si passa dall’una all’altra, e soprattutto come nasce lo Stato (l’Urstaat) e come si trasforma nel capitalismo.
Prima di chiudere, due parole su come tutto questo si collegherà con i nostri due autori di riferimento: Žižek rifiuta completamente questa impostazione. Per lui, il desiderio non è produzione positiva, ma è sempre attraversato dalla mancanza, dal negativo, il soggetto non è un effetto superficiale delle macchine desideranti, ma è costitutivamente barrato, diviso, impossibile. E il capitalismo non è semplicemente una macchina di cattura dei flussi, ma è la forma sociale che meglio incarna questa impossibilità costitutiva del soggetto. In altre parole, per Žižek, D&G sono troppo ottimisti, troppo vitalisti. Non vedono che il negativo, la mancanza, la contraddizione non sono effetti storici ma strutture ontologiche. Nick Land, invece, radicalizza D&G in direzione opposta. Per lui, hanno ragione a dire che bisogna accelerare, ma non vanno abbastanza lontano. Land proporrà un accelerazionismo senza freni, una deterritorializzazione assoluta, un delirio schizofrenico della tecnologia e del capitale che dovrebbe condurre alla dissoluzione dell’umano, alla xenogenesi, al post-umano. Vedremo se questa è una conseguenza legittima o un tradimento dell’Anti-Edipo.