Viviamo in un mondo che sembra procedere per gradualità, dove le cause producono effetti proporzionati e i cambiamenti avvengono in modo continuo. Eppure questa percezione viene costantemente smentita da fenomeni che attraversano la nostra esperienza, l’acqua che si trasforma improvvisamente in ghiaccio quando viene raffreddata gradualmente, una popolazione che esplode in rivoluzione dopo anni di malcontento crescente, un ecosistema che collassa dopo decenni di degrado apparentemente sostenibile, una persona che subisce un crollo psicologico dopo lunghe tensioni accumulate. Questi fenomeni condividono una caratteristica comune che sfida l’intuizione: un cambiamento continuo nei parametri del sistema produce una trasformazione discontinua nel suo comportamento, piccole variazioni che per lungo tempo sembrano non avere conseguenze significative scatenano improvvisamente cambiamenti radicali e irreversibili. Come è possibile che la natura, così come i sistemi sociali e psicologici, operino in questo modo apparentemente controintuitivo? La risposta ci porta al cuore di uno dei concetti più profondi della scienza contemporanea: le transizioni di fase e i punti critici. Questi fenomeni, studiati inizialmente in fisica ma rivelatisi fondamentali in biologia, ecologia, neuroscienze, economia e sociologia, mostrano che la discontinuità non è un’eccezione ma una proprietà intrinseca dei sistemi complessi. E rivelano qualcosa di ancora più sorprendente, l’esistenza di una sorta di “geometria universale” delle catastrofi, formalizzata dal matematico francese René Thom nella sua teoria delle catastrofi.
Nel precedente articolo abbiamo esplorato il caos deterministico, scoprendo come sistemi governati da leggi deterministiche possano generare comportamenti imprevedibili a causa della sensibilità esponenziale alle condizioni iniziali. Ora ci confrontiamo con un fenomeno strutturalmente diverso, benché apparentemente simile nella sua sfida alla predicibilità. Le transizioni di fase mostrano come piccole variazioni nei parametri di controllo – non nelle condizioni iniziali – possano produrre cambiamenti qualitativi discontinui nello stato macroscopico del sistema. Si generano così salti improvvisi tra configurazioni qualitativamente distinte, anche se le leggi fondamentali rimangono deterministiche.
Parte I: Le transizioni di fase in fisica
Per comprendere le transizioni di fase partiamo dal caso più familiare, i cambiamenti di stato dell’acqua. Quando riscaldiamo gradualmente del ghiaccio a pressione atmosferica normale, osserviamo che la temperatura aumenta in modo continuo fino a raggiungere 0°C. A questo punto accade qualcosa di straordinario, giacché, nonostante continuiamo a fornire energia termica, la temperatura rimane bloccata a 0°C mentre il ghiaccio si trasforma in acqua liquida. Solo quando tutta la massa si è liquefatta la temperatura ricomincia a salire. Questo comportamento rivela una proprietà fondamentale delle transizioni di fase, il fatto che esistono punti critici in cui il sistema può trovarsi in due stati diversi simultaneamente (ghiaccio e acqua a 0°C), e l’energia fornita non serve ad aumentare la temperatura ma a modificare la struttura microscopica della materia. Nel ghiaccio le molecole d’acqua sono disposte in un reticolo cristallino ordinato, mentre nell’acqua liquida sono disordinate e libere di muoversi. Il passaggio dall’ordine al disordine richiede energia (calore latente) che viene assorbita senza manifestarsi come aumento di temperatura. Questo paradigma si applica a innumerevoli transizioni fisiche, come l’acqua che evapora a 100°C, il ferro che perde le proprietà magnetiche sopra 770°C (punto di Curie), i superconduttori che perdono ogni resistenza elettrica sotto una temperatura critica, i cristalli liquidi degli schermi che cambiano orientazione sotto l’azione di un campo elettrico. Tutti questi fenomeni sono transizioni di fase, in ognuno dei quali un parametro di controllo (temperatura, pressione, campo magnetico) raggiunge un valore critico dove il sistema subisce una riorganizzazione strutturale macroscopica.
Le transizioni di fase sono intimamente legate al concetto di simmetria. Il ghiaccio possiede una simmetria cristallina, ruotando il reticolo di 60° otteniamo una configurazione identica all’originale, l’acqua liquida invece è isotropa, cioè tutte le direzioni sono equivalenti perché non esiste più una struttura ordinata. La fusione è quindi una rottura spontanea di simmetria, in cui, passando dal solido al liquido, il sistema perde la simmetria discreta del cristallo e acquisisce la simmetria continua del fluido. Questo principio generale illumina molte transizioni. Nel ferro magnetico gli spin atomici sono allineati parallelamente sotto il punto di Curie, creando una direzione privilegiata nello spazio (il sistema ha una simmetria rotazionale rotta), mentre sopra il punto di Curie gli spin si orientano casualmente e il sistema riacquisita la simmetria rotazionale completa. La transizione ferromagnetica è quindi, ancora una volta, una rottura spontanea di simmetria. Il fisico Lev Landau ha sviluppato una teoria generale delle transizioni di fase basata proprio sul concetto di simmetria, introducendo il parametro d’ordine, una grandezza che misura quanto il sistema sia “ordinato” rispetto alla simmetria. Per il magnetismo il parametro d’ordine è la magnetizzazione (lo spin medio), per la cristallizzazione è la densità del reticolo cristallino. Il parametro d’ordine è zero nella fase disordinata (alta simmetria) e diverso da zero in quella ordinata (simmetria rotta).
Non tutte le transizioni di fase sono uguali. La fisica distingue tra transizioni di primo ordine e transizioni continue (o di secondo ordine). Nelle transizioni di primo ordine, come la fusione del ghiaccio, il parametro d’ordine cambia discontinuamente, passando bruscamente da un valore finito a zero. C’è un calore latente da fornire e le due fasi possono coesistere al punto di transizione. Questi sono i cambiamenti più drammatici, dove il sistema salta letteralmente da uno stato all’altro senza stati intermedi stabili. Nelle transizioni continue il parametro d’ordine varia continuamente ma con derivata discontinua. La transizione ferromagnetica ne è un esempio. Avvicinandosi al punto di Curie dall’alto la magnetizzazione cresce gradualmente da zero, senza salti. Non c’è calore latente e le due fasi non possono coesistere. Tuttavia qualcosa di straordinario accade esattamente al punto critico, il sistema manifesta fluttuazioni a tutte le scale, come se oscillasse tra ordine e disordine su ogni dimensione possibile. Questo fenomeno è chiamato criticità. Al punto critico le correlazioni tra parti diverse del sistema diventano a lungo raggio e regioni anche molto distanti si influenzano reciprocamente. Il sistema perde ogni scala caratteristica e mostra una sorta di invarianza di scala: ingrandendo o rimpicciolendo l’immagine vediamo strutture simili (auto-similarità o frattali). È un fatto notevole che la materia, al punto critico, manifesti proprietà uniche che non appartengono né alla fase ordinata né a quella disordinata.
Uno dei risultati più profondi della fisica delle transizioni di fase è il principio di universalità. Sistemi fisicamente diversissimi – un magnete, un fluido vicino al punto critico, una lega metallica – mostrano lo stesso comportamento critico se appartengono alla stessa classe di universalità. Ciò che determina la classe non è la natura microscopica del sistema (atomi, molecole, spin) ma alcune proprietà topologiche generali, quali la dimensionalità dello spazio, la simmetria del parametro d’ordine, il raggio delle interazioni. Questa universalità è straordinaria perché implica che transizioni in sistemi completamente diversi obbediscono alle stesse leggi matematiche. Gli esponenti critici che descrivono come il parametro d’ordine, la suscettibilità, la lunghezza di correlazione variano vicino al punto critico sono gli stessi per tutti i membri della classe. Il gruppo di rinormalizzazione di Kenneth Wilson, che analizza come i sistemi complessi si comportano in modo universale vicino ai loro punti critici, ha fornito il fondamento teorico di questa universalità, mostrando che i dettagli microscopici diventano irrilevanti mentre le proprietà globali dominano al punto critico. Questo principio ha conseguenze filosofiche profonde, rivela che la natura possiede una sorta di “grammatica universale” delle transizioni, indipendente dai dettagli specifici. È come se esistessero modi fondamentali in cui i sistemi complessi possono cambiare stato, e questi modi trascendono le particolarità fisiche dei sistemi stessi.
Parte II: La teoria delle catastrofi di René Thom
Ma se la discontinuità è una proprietà intrinseca della materia, quali sono le forme matematiche che può assumere un salto nel vuoto? È la domanda che guidò René Thom (1923-2002) negli anni ’60 verso l’elaborazione della teoria delle catastrofi, un tentativo ambizioso di mappare la ‘geometria universale’ che sottende ogni trasformazione brusca e irreversibile, un framework matematico per descrivere tutti quei fenomeni dove piccole variazioni continue nei parametri di controllo producono cambiamenti discontinui nel comportamento del sistema. La teoria delle catastrofi nasce da una domanda apparentemente semplice, quali sono le forme possibili di discontinuità? Se un sistema può “saltare” improvvisamente da uno stato a un altro, quante geometrie diverse possono assumere questi salti? La risposta di Thom è che, sotto ipotesi molto generali, esistono solo sette catastrofi elementari in spazi a quattro dimensioni o meno. Questa classificazione è straordinariamente potente perché suggerisce che la varietà apparentemente infinita delle discontinuità naturali può essere ricondotta a un piccolo numero di archetipi matematici.
Il teorema fondamentale di Thom afferma che, per sistemi dipendenti da non più di quattro parametri di controllo, tutte le catastrofi strutturalmente stabili, cioè che non cambiano forma sotto piccole perturbazioni, appartengono a sette tipi. Esaminiamo le più importanti. La piega (fold): è la catastrofe più semplice, con un solo parametro di controllo. Descrive situazioni dove il sistema ha uno stato stabile fino a un punto critico, oltre il quale lo stato scompare e il sistema deve saltare altrove, come una trave che si piega sotto carico crescente fino al punto di rottura improvvisa. La cuspide: ha due parametri di controllo e descrive situazioni con isteresi (fenomeno fisico per cui una grandezza, che è funzione di una o più grandezze, a un dato istante ha un valore che dipende non solo dai valori di queste in quell’istante, ma anche da quelli che esse hanno assunto in istanti precedenti), il percorso seguito dal sistema per passare da uno stato all’altro dipende dalla storia. Se aumentiamo il primo parametro, il sistema salta a un certo punto; se poi lo diminuiamo il sistema non torna indietro allo stesso valore ma a un valore diverso. Il comportamento di un animale spaventato che, raggiunta una soglia di paura, attacca improvvisamente, ma se poi riduciamo lo stimolo pauroso l’animale non si calma immediatamente ma mantiene lo stato aggressivo per un po’, è un buon esempio. La coda di rondine (swallow tail): con tre parametri di controllo questa catastrofe descrive situazioni ancora più complesse dove possono coesistere più stati stabili e il sistema può seguire percorsi diversi a seconda delle condizioni iniziali e della storia. La farfalla (butterfly): con quattro parametri è la più complessa delle catastrofi elementari “semplici”, mostrando una ricchezza di comportamenti che include biforcazioni multiple e regioni di multistabilità. Le altre tre catastrofi (l’ombelico iperbolico, l’ombelico ellittico e l’ombelico parabolico) sono meno frequenti nelle applicazioni ma completano la classificazione matematica.
La chiave concettuale della teoria delle catastrofi è il concetto di superficie di equilibrio. Immaginiamo di rappresentare tutti i possibili stati del sistema come punti in uno spazio multidimensionale. Gli stati stabili formano una superficie (o più superfici) in questo spazio, i parametri di controllo determinano quale punto sulla superficie è attualmente occupato dal sistema. Quando i parametri variano continuamente il sistema si muove lungo la superficie di equilibrio, ma se la superficie ha pieghe o bordi può accadere che, continuando a variare i parametri, il sistema arrivi al bordo della superficie. A quel punto lo stato corrente cessa di essere stabile e il sistema deve saltare improvvisamente a un’altra parte della superficie, questa è la catastrofe. I punti di biforcazione sono quelli dove la superficie si piega, si divide o si riunisce. In questi punti speciali piccole variazioni nei parametri determinano quale ramo della superficie il sistema seguirà. È qui che le condizioni iniziali, le fluttuazioni casuali o la storia passata possono avere conseguenze drammatiche, perché determinano quale dei possibili futuri si realizzerà. Immaginiamo la superficie di equilibrio che descrive lo stato emotivo di un cane. I parametri di controllo sono la paura e la provocazione. Se la provocazione aumenta mentre il cane ha molta paura, egli rimarrà in uno stato di sottomissione (una zona della superficie), ma se continuiamo a stuzzicarlo, arriveremo al ‘bordo’ della piega e a quel punto lo stato di sottomissione cessa di essere stabile e il sistema compie un salto improvviso verso lo stato di aggressione. È la catastrofe! Il cane non ringhia gradualmente di più, ma morde all’improvviso perché la sua superficie di equilibrio ha subito una biforcazione.
Per Thom, la morfogenesi è il processo di generazione delle forme (biologiche, fisiche o sociali), mentre la stabilità strutturale è la capacità di una forma di resistere a piccole perturbazioni mantenendo la propria identità. Il nesso risiede nel fatto che ogni forma è un’isola di stabilità in un mare di dinamismo e la morfogenesi avviene proprio quando una struttura perde la sua stabilità strutturale a causa di un cambiamento nei parametri esterni. In quel momento, la forma subisce una “catastrofe” (un salto brusco) e si riorganizza in una nuova struttura stabile. La realtà è dunque una danza dove la morfogenesi crea strutture che la stabilità tenta di preservare, finché una nuova discontinuità non impone un altro mutamento.
Parte III: Oltre la fisica – transizioni di fase in sistemi complessi
Osservando la superficie immobile di un lago, è difficile immaginare che sotto quella quiete si stia consumando una lotta silenziosa per la stabilità. Eppure, gli ecosistemi sono forse gli esempi più drammatici di come una transizione di fase possa trasformarsi in una trappola. Un lago eutrofico, ad esempio, può apparire sano fino a un istante prima di superare quella soglia critica che lo condanna a uno stato di acque torbide e alghe. Un lago eutrofico, infatti, può esistere in due stati alternativi stabili, uno dominato da acque chiare e vegetazione acquatica, l’altro da acque torbide e alghe. Il passaggio tra questi stati avviene in modo relativamente improvviso quando si supera una soglia critica di carico di nutrienti (fosforo, azoto). La caratteristica più inquietante è l’isteresi. Una volta che il lago è passato allo stato torbido, ridurre i nutrienti al livello precedente non basta per riportarlo allo stato chiaro. È necessario ridurre i nutrienti molto al di sotto della soglia originale per innescare la transizione inversa. Questo crea una trappola ecologica, il sistema rimane intrappolato nello stato degradato anche quando le condizioni esterne migliorano. Lo stesso fenomeno è stato osservato in molti ecosistemi. Le foreste pluviali possono collassare improvvisamente in savane quando la deforestazione supera una soglia critica, e non si ripristinano facilmente. Le barriere coralline possono passare improvvisamente da stati dominati da coralli a stati dominati da alghe. Gli oceani possono subire transizioni nelle correnti termoaline (sono un gigantesco sistema di correnti oceaniche globali, spesso chiamato “Grande Nastro Trasportatore”, guidato dalle differenze di densità dell’acqua marina, determinate dalla temperatura (termo-) e dalla salinità (-alina); queste correnti muovono enormi volumi d’acqua, trasportando calore, nutrienti e gas, e influenzando profondamente il clima terrestre e la biologia marina). In tutti questi casi ci sono early warning signals (segnali di allarme precoce), che andrebbero presi sul serio, come il rallentamento della risposta alle perturbazioni, l’aumento della varianza, la crescita dell’autocorrelazione temporale. Questi segnali indicano che il sistema si sta avvicinando a un punto critico.
Le società umane mostrano anch’esse transizioni di fase. Le rivoluzioni non sono semplicemente il risultato di un progressivo accumulo di malcontento ma spesso avvengono improvvisamente quando si raggiunge un punto critico. Decenni di tensioni latenti possono improvvisamente esplodere in pochi giorni di sollevazione di massa. Il sociologo Mark Granovetter ha proposto modelli a soglia per spiegare questi fenomeni. Ogni individuo ha una soglia personale per partecipare a un’azione collettiva (una protesta, una rivolta), quando il numero di partecipanti supera la soglia di qualcuno, quella persona si unisce, aumentando così il numero totale e potenzialmente superando le soglie di altri. Questo processo può innescare una cascata di reclutamento che porta rapidamente da pochi attivisti a una mobilitazione di massa. Il punto cruciale è che la distribuzione delle soglie nella popolazione determina se ci sarà una transizione. Se molte persone hanno soglie vicine tra loro si può formare un “blocco critico” che, una volta attivato, trascina tutto il resto. Piccole variazioni nelle condizioni (un evento simbolico, l’azione delle forze dell’ordine, un messaggio virale) possono far scattare o meno la cascata. Le mode, le bolle finanziarie, le conversioni religiose di massa, persino l’adozione di nuove tecnologie mostrano dinamiche simili. C’è sempre un periodo di accumulo dove sembra che nulla accada, seguito da un’esplosione improvvisa. La teoria delle reti ha raffinato questi modelli mostrando come la struttura delle connessioni sociali influenzi la posizione del punto critico e la velocità della transizione.
Il cervello è forse l’esempio più affascinante di sistema che opera vicino a punti critici. Le neuroscienze contemporanee hanno accumulato evidenze che l’attività cerebrale nei mammiferi si organizza spontaneamente vicino a una transizione di fase tra ordine e disordine. In uno stato completamente ordinato tutti i neuroni sparerebbero in modo sincronizzato (come nelle crisi epilettiche), mentre in uno stato completamente disordinato sparerebbero in modo totalmente indipendente (come negli stati vegetativi o nel sonno profondo). La normale attività vigile si colloca in una zona critica tra questi estremi, dove ci sono correlazioni a lungo raggio ma non sincronizzazione globale. Questa organizzazione critica ha vantaggi funzionali enormi. Al punto critico il sistema ha la massima capacità computazionale, può rappresentare il maggior numero di stati diversi e rispondere in modo più sensibile agli stimoli esterni. Le fluttuazioni sono massime, permettendo al cervello di esplorare molti stati possibili e scegliere rapidamente tra opzioni diverse, l’informazione si propaga in modo ottimale, né troppo localizzata né troppo diffusa. John Beggs e altri neuroscienziati hanno mostrato che le valanghe di attività neuronale (cascate di spiking che si propagano nella rete) seguono leggi di potenza caratteristiche dei sistemi critici. La distribuzione delle dimensioni delle valanghe non ha una scala tipica, esattamente come nei terremoti o nelle transizioni di fase. Questo suggerisce che il cervello “vive” permanentemente al bordo del caos, in uno stato critico auto-organizzato.
Anche la psiche umana mostra fenomeni che ricordano le transizioni di fase. I disturbi psichiatrici, come è noto, spesso non insorgono gradualmente ma si manifestano con crisi improvvise. Una persona può funzionare apparentemente bene nonostante uno stress crescente, poi improvvisamente subire un breakdown che la porta in uno stato qualitativamente diverso (depressione maggiore, psicosi, disturbo d’ansia). La psicologia dinamica ha proposto modelli dove la mente è vista come un sistema con attrattori multipli e dove ciascun attrattore corrisponde a un modo di funzionamento (uno stato mentale stabile). Eventi stressanti o cambiamenti graduali nei parametri personali (biochimici, sociali, cognitivi) possono spostare il sistema verso il bordo del bacino di attrazione, dove, oltrepassata una soglia critica il sistema transita rapidamente verso un altro attrattore. La teoria delle catastrofi è stata applicata esplicitamente in questo contesto. La catastrofe della cuspide, per esempio, è stata usata per modellare il comportamento aggressivo, sotto l’effetto combinato di paura e rabbia (i due parametri di controllo) l’animale o la persona può improvvisamente passare da uno stato pacifico a uno aggressivo, mostrando isteresi nel percorso di ritorno. Le transizioni terapeutiche possono essere viste in modo simile. La psicoterapia spesso non produce cambiamenti lineari ma periodi di apparente stasi seguiti da breakthrough (svolte) improvvisi dove si riorganizza l’intera struttura della personalità. Il terapeuta lavora per spostare il sistema vicino a un punto di biforcazione dove un piccolo insight o evento può innescare una transizione verso un attrattore più sano.
Parte IV: Implicazioni filosofiche e limiti
Cosa resta dell’idea di un universo ordinato quando ci scontriamo con l’imprevedibilità di una biforcazione? Le transizioni di fase non sfidano solo la fisica, ma colpiscono al cuore il nostro concetto di controllo, rivelando una forma di impredicibilità che non dipende dal caso, ma dalla struttura stessa della realtà. Le transizioni di fase sollevano questioni filosofiche profonde sulla relazione tra determinismo e predicibilità. Un sistema può essere governato da leggi perfettamente deterministiche eppure mostrare salti imprevedibili e questo non è dovuto al caso quantistico o a fluttuazioni esterne ma alla struttura stessa dello spazio degli stati. Vicino a un punto di biforcazione piccole fluttuazioni o incertezze nelle condizioni determinano quale ramo il sistema seguirà. Anche se le leggi sono deterministiche, la nostra impossibilità di conoscere lo stato con precisione infinita rende impossibile prevedere quale stato emergerà e questa, come è facile accorgersi, è una forma di impredicibilità strutturale, diversa dal caos (che riguarda la dinamica temporale) ma altrettanto fondamentale. Le implicazioni sono profonde per le scienze sociali. Anche se ci fossero leggi deterministiche che governano le società umane, la presenza di punti critici renderebbe impossibile prevedere eventi come rivoluzioni, crolli economici o cambiamenti culturali e non per ignoranza contingente dei dettagli ma per necessità strutturale, poiché i punti di biforcazione amplificano infinitamente le incertezze.
Le transizioni di fase sono uno degli esempi più chiari di proprietà emergenti. Il comportamento macroscopico al punto critico non può essere dedotto semplicemente dalle proprietà dei componenti microscopici e le correlazioni a lungo raggio, l’invarianza di scala, l’universalità sono proprietà, del sistema come un tutto, che trascendono i dettagli microscopici. Questo non significa che ci sia una “nuova fisica” al livello macroscopico. Le leggi fondamentali rimangono quelle della meccanica statistica, ma la comprensione richiede un cambio di livello, bisogna studiare la geometria dello spazio delle fasi, le simmetrie globali, la struttura topologica degli attrattori. Il tutto non è riducibile alla somma delle parti perché obbedisce a principi organizzativi che emergono dall’interazione collettiva. Questo fornisce una risposta sofisticata al dibattito sul riduzionismo. Sì, in linea di principio tutto è riducibile alle leggi fondamentali, ma no, questa riduzione non fornisce comprensione o predicibilità dei fenomeni emergenti. Per questo servono concetti e leggi autonomi al livello superiore, anche se queste non contraddicono quelle inferiori.
La teoria delle catastrofi ha suscitato entusiasmi eccessivi seguiti da critiche troppo severe. Negli anni ’70 Thom e i suoi seguaci l’applicarono a un numero impressionante di fenomeni, come lo sviluppo embrionale, l’evoluzione linguistica, la dinamica sociale, persino la percezione estetica. Molte di queste applicazioni erano più metaforiche che rigorose, ma le critiche principali si concentrarono sul fatto che la teoria classifica le forme delle discontinuità ma raramente permette previsioni numeriche precise; che dato un fenomeno discontinuo si può sempre trovare una catastrofe che lo “spiega”, ma questo è spesso un fitting (adattamento) post hoc, se non ad hoc, e ultimo, ma non per importanza, che identificare i veri parametri rilevanti è spesso difficile o arbitrario. Queste critiche, dobbiamo ammetterlo, sono in parte giustificate. La teoria delle catastrofi non è uno strumento di previsione precisa ma piuttosto un framework concettuale per classificare e comprendere le possibili forme di discontinuità e il suo valore è più qualitativo che quantitativo, più euristico che predittivo. Tuttavia il nucleo matematico rimane solido e la teoria ha trovato applicazioni legittime in ottica (caustiche, e curve o superfici d’inviluppo formate dalla riflessione o rifrazione di raggi luminosi da una superficie curva), ingegneria strutturale (instabilità elastiche), e alcune aree della biologia dello sviluppo. L’errore, alla fine, fu quello di sopravvalutare la sua applicabilità universale e di non riconoscere i limiti intrinseci del framework matematico.
Le transizioni di fase rivelano il ruolo fondamentale della contingenza nella natura. Quando un sistema raggiunge un punto di biforcazione, il suo futuro non è determinato solo dalle leggi generali ma anche da fattori contingenti come piccole fluttuazioni casuali, condizioni iniziali precise, eventi esterni imprevedibili. Questo è particolarmente evidente nei fenomeni con isteresi, fenomeni in cui il sistema “ricorda” la sua storia e lo stato attuale dipende non solo dai parametri correnti ma dal percorso seguito per arrivarci. Due sistemi con parametri identici possono trovarsi in stati diversi se hanno storie diverse, la freccia del tempo entra in modo irriducibile nella descrizione. Per le scienze storiche (geologia, biologia evolutiva, storia umana) questo è cruciale. L’evoluzione della vita sulla Terra ha attraversato molteplici punti di biforcazione dove piccoli eventi hanno avuto conseguenze enormi. Stephen Jay Gould sottolineò che se “riavvolgessimo il nastro” della storia evolutiva otterremmo con ogni probabilità risultati completamente diversi. Le transizioni di fase forniscono il framework matematico per comprendere questa contingenza radicale.
Abitare il bordo dell’instabilità
Le transizioni di fase e i punti critici ci rivelano che viviamo in un mondo fondamentalmente discontinuo, dove il cambiamento non avviene sempre per accumuli graduali ma spesso attraverso salti improvvisi e riorganizzazioni sistemiche. Questa discontinuità non è un’anomalia da spiegare ma una proprietà strutturale dei sistemi complessi. La teoria matematica delle transizioni di fase in fisica e la teoria delle catastrofi di Thom convergono nel mostrare che esistono geometrie universali della discontinuità e che pochi archetipi matematici sottendono la varietà apparentemente infinita dei cambiamenti catastrofici in natura, dalla fusione del ghiaccio al collasso degli ecosistemi, dalle rivoluzioni sociali ai breakdown psicologici. Questa universalità suggerisce, da un lato, che la natura “parla” attraverso un numero limitato di “grammatiche” quando si tratta di cambiamenti discontinui e, dall’alro, che, se comprendere queste grammatiche non ci dà il potere di prevedere esattamente quando avverranno le transizioni – la contingenza e le fluttuazioni lo impediscono strutturalmente – ci fornisce tuttavia un framework per comprendere come avvengono e quali forme possono assumere. Per molti sistemi complessi contemporanei – il clima globale, gli ecosistemi, le economie interconnesse, persino la nostra stessa psiche – la domanda rilevante non è se subiranno transizioni di fase ma quando e attraverso quale percorso. Sviluppare la capacità di riconoscere i segnali di avvicinamento ai punti critici e di navigare le biforcazioni diventa quindi un imperativo pratico oltre che una sfida teorica.
Forse la lezione più profonda è che la stabilità è sempre provvisoria e che i sistemi complessi non esistono in equilibri statici ma in regioni dinamiche dello spazio delle fasi, sempre al bordo di possibili transizioni. Abitare questo bordo dell’instabilità richiede non il sogno illusorio del controllo totale, ma la saggezza di riconoscere quando piccoli interventi possono avere grandi conseguenze e quando invece siamo alla mercé di forze che trascendono la nostra capacità di previsione. La discontinuità non è un difetto della realtà ma la sua firma caratteristica e comprenderla significa accettare che il mondo non procede sempre per gradualità, che piccole cause possono avere grandi effetti, e che il futuro rimane radicalmente aperto anche in un universo governato da leggi deterministiche. È questa apertura, questa possibilità di cambiamenti qualitativi improvvisi, che rende la realtà imprevedibile, pericolosa ma anche ricca di potenzialità creative.