La “rivalutazione” aristotelica dell’arte – 4 (Conclusione)

Produzione (poiesis) e imitazione (mimesis) in Aristotele

La produzione (poiesis)

Nel Simposio Platone così definisce la poiesis:

Tu sai che il termine poiesis (produzione) si riferisce a un gran numero di cose: diciamo, infatti, che, per ogni cosa che passa dal non essere all’essere, è causa la “produzione”, tanto è vero che tutti i prodotti di qualsivoglia arte (techne), si possono chiamare opere poietiche e i relativi artefici, produttori. (Symp. 205b-c)

Come si coglie da questa definizione, la produzione, che è la disposizione propria dell’arte, è causa e principio di tutto ciò che passa dal non essere all’essere. Anche di un albero, di un uccello, di un fiore? Anche gli enti naturali, infatti, sembrano venire dal non essere all’essere. In realtà, secondo il concetto greco di physis, un ente naturale non va dal non essere all’essere, ma da qualcosa che è a qualcosa che è, dall’essere all’essere. L’albero, infatti, viene dall’albero, l’uccello dall’uccello. Un tavolo, invece, o un letto, non vengono da un altro tavolo o da un altro letto.

Per Aristotele, l’essere in senso pieno è sempre “essere in atto” (energheia): ciò che fa essere l’albero è la physis stessa, la sua energia germinativa, che fa essere tutto ciò che è naturale. Solo nella misura in cui un albero, giunto alla maturità, è un ente nel senso pieno del termine, si può avere riproduzione dell’albero. Il movimento per cui un tavolo viene all’essere, invece, ha una natura diversa da quello della physis, dipende dalla techne, dall’arte, nel senso in cui l’abbiamo indagata sopra. Ora, come la physis, in quanto principio, è anteriore a tutti gli enti naturali, così la techne, in quanto principio del sapere orientato alla produzione, è anteriore a tutti gli artefatti.

In questo c’è un interessante parallelismo fra arte e natura, tale comunque da non far dimenticare una fondamentale differenza. L’albero ha la sua origine nella physis di albero, che è in atto nell’albero vivente, quindi un ente naturale ha in sé il principio del proprio venire all’essere (ecco perché non si può dire che viene all’essere dal non essere), mentre il tavolo ha la sua origine nel sapere della falegnameria, che è in atto non nel tavolo, ma altrove, cioè nel falegname (e questa è la ragione per la quale di esso propriamente si dice che viene dal non essere all’essere). Vedremo subito come Aristotele, tuttavia, recupererà un senso più profondo del parallelismo arte-natura.

L’imitazione (mimesis)

In quella che, secondo Heidegger, è l’opera filosofica più importante di Aristotele, la Fisica, troviamo un’affermazione circa i rapporti fra arte e natura, la cui importanza è difficile esagerare: “l’arte imita la natura” Per l’importanza che riveste, citiamo per esteso il passo in cui la frase è compresa:

Se, da una parte, l’arte imita la natura, compete alla stessa scienza sapere la forma e la materia sino a un certo punto (così per esempio compete al medico conoscere la salute e la bile e il flegma, nei quali sta la salute, così come al costruttore di case conoscere la forma della casa e la materia, cioè mattoni e legno; e così per le altre arti) allora sarà compito della fisica conoscere le due nature. (Phys. II, 194a)

È chiaro che la corretta comprensione di questa frase dipende non solo dalla comprensione del senso greco di arte, e a ciò ci siamo finora dedicati, ma anche dalla comprensione del senso greco di imitazione (mimesis). Non solo, perché anche il significato di physis è in gioco. Se noi, infatti, comprendiamo physis semplicemente come natura (insieme di enti che si caratterizzano per un determinato modo di essere, l’insieme dei tre regni minerale, vegetale e animale), abbiamo già fallito in partenza la comprensione di questo passo. Per Aristotele, infatti, la physis non è un principio di esistenza, ma di movimento, come lo è, nel modo diverso che abbiamo visto, la techne. Comprendere la physis come l’insieme degli enti naturali è lo stesso errore di comprendere la techne come l’insieme degli oggetti prodotti dall’uomo. Su questo fraintendimento si sono basate le due fondamentali accezioni in base alle quali è stata compresa la mimesi, l’imitazione come copia e l’imitazione come idealizzazione. Ma imitazione della natura non è né rappresentare la natura con immagini (questo ridurrebbe l’arte a essere non un comportamento produttivo, ma meramente riproduttivo) né “fare come” la natura.

In Aristotele l’arte è un modo d’essere dell’uomo nel quale ha luogo la verità. Non la verità nel senso in cui questa si dà al pensiero filosofico, cioè la verità come contemplazione degli enti necessari, e, tuttavia, in quanto sophia, una certa forma della verità. È noto il riconoscimento che Aristotele fa alla poesia nella Poetica:

Compito del poeta non è dire le cose avvenute, ma quali possono avvenire, cioè quelle possibili secondo verosimiglianza o necessità. Lo storico e il poeta non si distinguono nel dire in versi o senza versi (si potrebbero mettere in versi gli scritti di Erodoto e nondimeno sarebbe sempre una storia, con versi o senza versi); si distinguono invece in questo: l’uno dice le cose avvenute, l’altro quali possono avvenire. Perciò la poesia è cosa di maggiore fondamento teorico e più importante della storia, perché la poesia dice piuttosto gli universali, la storia i particolari. (Poetica, 51b 1-15)

Non vi è scienza, se non dell’universale, e l’arte è, a suo modo, per natura orientata verso l’universale. Il talento dell’artista, infatti, non è, come abbiamo visto, il virtuosismo nel senso formale del termine, ma la forza di tradurre un sapere in un’opera. L’arte imita la natura nel senso che l’arte traduce nell’opera lo stesso movimento della physis.

Come abbiamo sottolineato, il carattere proprio del movimento naturale è quello di andare dall’essere all’essere: un albero è un albero grazie alla propria forza vegetativa, senza rimandare all’altro da sé. Ora, anche l’opera d’arte non rimanda ad altro, non ha referente fuori di sé. Una statua di Fidia, in quanto opera d’arte, non raffigura nulla, semplicemente “è”. E, se nel suo essere “statua-cosa” essa è autenticamente produzione (poiesis), in quanto proviene dal non essere statua del marmo, nel suo essere “statua-opera d’arte” essa è com-presa, nel senso letterale del termine, con la techne del suo autore, cosicché anch’essa deriva da un movimento che, come quello della physis, va da un essere (la techne come sapere) a un altro essere (la statua come opera). L’opera d’arte, come un prodotto naturale, non rimanda a nulla, è in sé significativa. Imitare, insomma, per Aristotele significa operare lo stesso movimento ontologico della natura, quel movimento che si esprime in uno dei concetti fondamentali della fisica aristotelica, il concetto di finalità. Non a caso la frase citata è inserita all’interno della parte dedicata alla contestazione delle concezioni meccanicistiche della natura. La finalità è la stessa, sia nell’arte che nella natura.

Alcuni temi dalla Poetica

La mimesis come fonte di conoscenza e di piacere

Riguardo all’imitazione, Aristotele osserva che essa appartiene all’istinto naturale dell’uomo e che da essa l’uomo trae conoscenza e piacere.

Due cause appaiono in generale aver dato vita all’arte poetica, entrambe naturali: da una parte il fatto che l’imitare è connaturato agli uomini fin dalla puerizia (e in ciò l’uomo si differenzia dagli altri animali, nell’essere il più portato a imitare e nel procurarsi per mezzo dell’imitazione le nozioni fondamentali), dall’altro il fatto che tutti traggono piacere dalle imitazioni. Ne è segno quel che avviene nei fatti: le immagini particolarmente esatte di quello che in sé ci dà fastidio vedere, come ad esempio le figure degli animali più spregevoli e dei cadaveri, ci procurano piacere allo sguardo. Il motivo di ciò è che l’imparare è molto piacevole, non solo ai filosofi, ma anche ugualmente a tutti gli altri, soltanto che questi ne partecipano per breve tempo. Perciò vedendo le immagini si prova piacere, perché accade che guardando si impari e si consideri che cosa sia ogni cosa, come per esempio, che questo è quello. (Poetica, 48b1-18)

Se la mimesis è il principio fondamentale dell’arte poetica, la conoscenza che essa indubbiamente procura, pur essendo affine a quella filosofica (mostra che cos’è una cosa) è comunque inferiore a questa, perché non avviene per concetti, ma per immagini. Il diletto o il piacere che essa procura è, invece, il fine specifico dell’arte. Anche qui va rilevata un’affinità con la filosofia, la quale, come abbiamo visto nell’Etica, conduce alla felicità, εὐδαιμονία, (eudaimonia), di cui il piacere, ἡδονή (edoné) è la sua immagine sensibile.

Il concetto di catarsi

Sostanzialmente la catarsi è un effetto di tipo psicologico, grazie al quale l’arte trova, in Aristotele, un legittimo ruolo socio-politico, in netta e inequivocabile polemica con Platone, che aveva sostenuto la concezione opposta. Lungi dal purificare le passioni, per Platone, l’arte le inquina, rafforzando la parte irrazionale dell’uomo, blandendo le sue tendenze più riprovevoli. La catarsi è invece una purificazione, la liberazione da ciò che è estraneo all’essenza o alla natura di una cosa e che, perciò, con la sua sola presenza la disturba e la corrompe. L’origine del termine e il suo uso comune si trova nell’ambito medico e significa propriamente “purga”. Aristotele ne estende il significato in ambito estetico per indicare quella specie di liberazione e di rasserenamento che l’uomo ottiene per opera della poesia e in particolare del dramma e della musica.

Tragedia è imitazione di un’azione seria e compiuta, avente una propria grandezza, con parola ornata, distintamente per ciascun elemento nelle sue parti, di persone che agiscono e non tramite una narrazione, la quale per mezzo di pietà e paura, porta a compimento la depurazione di siffatte emozioni. (Poetica, 49b25-30)

La pietà si prova davanti a chi è sventurato senza sua colpa (il fato avverso, ecc.), la paura quando lo sventurato è comparabile con noi stessi, quando pensiamo che ciò che è accaduto a lui potrebbe accadere benissimo anche a noi. Si tratta, dunque, di sentimenti o moti dell’animo, di emozioni, che si provano quando si assiste a determinate sciagure o pene o lutti di altre persone; sono i sentimenti che prova chi legge una tragedia o assiste a uno spettacolo, e sono questi sentimenti oggetto di catarsi.

Conclusione

Fissiamo alcuni punti a conclusione della nostra indagine della concezione dell’arte in Aristotele, cominciando con un’annotazione di tipo tecnico: trattando della tragedia, Aristotele decreta un incontrastato primato della parola sulla vista. Lo spettacolo, che pure è uno degli elementi fondamentali della rappresentazione teatrale, sembra sfuggire alla trattazione dell’arte stessa. Qui non può non venire alla mente la fulminea osservazione di Nietzsche, il quale nota che trattare della tragedia, senza sapere come era allestita ed effettivamente rappresentata, è come leggere il libretto di un’opera lirica senza ascoltarne la musica e vederne la rappresentazione. Si perde l’essenziale. V. Il dramma musicale greco (una delle Conferenze di Basilea, 1870)

Vi è poi, nella Poetica, l’esclusione della trattazione specifica della figura del poeta. Per Platone il poeta seduce ed inganna, quindi è pericoloso per una società che vuole conformarsi ai principi del vero bene. Nella Poetica, invece, la poesia appare un’attività naturale e meritevole, che può essere descritta e spiegata. Il poeta non è più il temuto rivale del filosofo, ma diventa, in ultima analisi, un artigiano del sapere, anche se sommo per il suo talento.

Riconoscendo alla poesia uno statuto epistemologico, Aristotele in realtà la subordina, la asservisce, come modo inferiore del sapere, al dominio incontrastato del filosofo, il quale, a sua volta, subisce una trasformazione radicale, perché non è più il pioniere che sfida e bonifica territori selvaggi, ma l’indagatore e il sistematizzatore. Aristotele, in definitiva, al di là della sua formidabile analisi del concetto di techne, ci presenta un’immagine familiare della poesia, quella di un utile svago, un’attività del tempo libero, dignitosa, ma irrimediabilmente secondaria, perciò la sua “riabilitazione” dell’arte e della poesia ha davvero un costo elevato.

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