6 – Analisi dell’Etica di Spinoza. Etica I: La natura naturata – (Proposizioni 21-29)

Introduzione

Le proposizioni dal 21 al 29 affrontano il grande tema ontologico della natura naturata e, in particolare, mettono a fuoco i modi. Già sappiamo che per Spinoza tutto l’essere si riduce alle due grandi nozioni di Sostanza, che si esprime in infiniti attributi, dei quali solo due si offrono al nostro intelletto, il pensiero e l’estensione, e di modo.

Tutti i modi, finiti o infiniti che siano, hanno come punto comune quello di essere “in altro” e di concepirsi “per altro”. Questo è un modo per dire che la loro essenza non implica l’esistenza. La loro esistenza, infatti, dipende non da se stessi (non sono causa sui), ma da altro, cioè dagli attributi della sostanza sotto i quali cadono.

La natura naturata riguarda gli effetti necessari dell’agire della Natura naturans, effetti considerati secondo due prospettive fra loro strettamente connesse: in primo luogo, dal punto di vista globale o universale dei modi infiniti, una sorta di struttura portante dell’esplicazione modale, e in secondo luogo, dal punto di vista dettagliato e particolare dei modi finiti e delle cose concrete.

Va assolutamente evitato l’errore di considerare la natura naturante come anteriore alla natura naturata sia dal punto di vista temporale sia da quello causale, inteso in senso transitivo, secondo cui si avrebbe una separazione reale di causa ed effetto. Ciò comporterebbe un surrettizio “dualismo” inamissibile nella rigorosa e univoca ontologia spinoziana. La natura naturata è simultanea alla natura naturante e non separabile da essa . Entrambe sono la sola e identica Natura considerata da due diversi punti di vista. Alla radice di questo errore sta un fraintendimento della natura dei modi, a torto considerati solamente entro una prospettiva finita. Ma l’infinito attraversa in pieno anche la natura naturata e i modi.

I modi infiniti non sono principi esplicativi del finito. Se così fosse, avrebbero, rispetto al finito, una funzione trascendente. Essi costituiscono invece la struttura necessaria, eterna e infinita, attraverso cui la sostanza affetta se stessa secondo un’infinità di modi. La dottrina dei modi infiniti porta a escludere sia la contingenza nell’ontologia spinoziana sia ogni interpretazione di tipo finalistico o creazionista della produzione divina.

Possiamo suddividere in tre parti la trattazione di queste 9 proposizioni: le proposizioni 21, 22 e 23 riguardano i modi infiniti, le 5 proposizioni seguenti (24, 25, 26, 27, 28) trattano i modi finiti, mentre la 29 serve come ideale conclusione generale di questa parte.

I modi infiniti (Prop. 21-23)

Prop. XXI: Eternità e infinitezza dei modi infiniti immediati

Omnia, quæ ex absoluta natura alicujus attributi Dei sequuntur, semper, & infinita existere debuerunt, sive per idem attributum æterna, & infinita sunt. Tutto ciò che segue dalla natura assoluta d’un attributo di Dio, ha dovuto esistere sempre, e come infinito, ossia è eterno e infinito in virtù di questo attributo.

Questa proposizione afferma che l’infinito degli attributi si trasmette ai rispettivi modi. Sono i modi infiniti immediati che seguono necessariamente dalla natura di un attributo. Il modo infinito immediato è la prima determinazione dell’attributo, quella per mezzo della quale l’attributo si auto-affetta e produce qualcosa che non è più l’attributo, ma il suo “effetto” globale e necessario. Il movimento o il riposo, ad esempio, sono modi d’essere necessari, infiniti ed eterni dell’estensione. I diversi modi finiti, ogni corpo particolare, sono determinazioni particolari e fattuali di questo movimento/riposo universale ed eterno.

Dalla natura dell’attributo pensiero, preso assolutamente, segue immediatamente l’idea di Dio o, altrimenti detto, tutto ciò che può essere pensato. È un’idea infinita, dato che è impensabile un’altra idea che la limiti. Per dimostrare quest’ultima asserzione, Spinoza procede lungo due vie, una volta a dimostrare l’infinità e l’altra l’eternità dell’idea di Dio (modo infinito dell’attributo pensiero).

La dimostrazione dell’infinitezza dell’idea di Dio inizia assumendo l’ipotesi contraria, cioè quella di affermare l’esistenza di un modo finito che segua direttamente dalla natura infinita di un attributo, un modo che non ha bisogno d’altro che della natura assoluta di un attributo per esistere. Se davvero un tale modo esistesse, derivando esso immediatamente dalla natura dell’attributo, dovrebbe trarre la  sua finitezza dall’attributo stesso. Ma non potendo esserci finitezza all’interno dell’attributo, risulterebbe inspiegabile l’origine della limitazione del modo. L’idea di Dio come finita, cioè l’idea del pensiero che non costituisce l’idea di Dio, è in contraddizione con l’esistenza necessaria dell’idea di Dio: l’idea di Dio, in altri termini, non può essere concepita a un tempo come necessaria (modificazione immediata dell’attributo pensiero) e come finita, perché significherebbe concepire il pensiero come costituente e non costituente l’idea di Dio. Ogni modificazione che segua necessariamente dalla natura di un attibuto preso assolutamente è dunque infinita.

La dimostrazione dell’eternità dell’idea di Dio procede in questo modo: supponendo che l’idea di Dio segua immediatamente dall’attributo pensiero, essendo questo eterno, anche l’idea di Dio deve essere eterna. Il pensiero non può essere concepito senza l’idea di Dio, essendo questa conseguenza necessaria dell’attributo pensiero. Da quando c’è pensiero, eternamente, c’è l’idea di Dio. Per ogni attributo c’è dunque necessariamente almeno un modo infinito ed eterno (immediato).

Prop. XXII: Necessità e infinitezza dei modi infiniti mediati

Quicquid ex aliquo Dei attributo, quatenus modificatum est tali modificatione, quæ & necessario, & infinita per idem existit, sequitur, debet quoque & necessario, & infinitum existere. Tutto ciò che segue da un attributo di Dio, in quanto è modificato da una modificazione tale che in virtù di quest’attributo esista necessariamente e come infinita, deve pure esistere necessariamente e come infinito.

Questa proposizione prende in esame i modi infiniti mediati, che seguono dalla natura di un attributo preso relativamente, cioè già modificato. Anch’essi devono essere concepiti come necessari e infiniti. La dimostrazione di questa proposizione equivale a quella della proposizione precedente. Un esempio di modo infinito mediato ci è dato nello scolio della proposizione 7 della parte II dell’Etica, laddove si prende in considerazione la figura dell’universo nel suo insieme: è l’idea di totalità o di ordine, totalità ordinata delle parti, portata dai modi infiniti mediati. L’infinità dei modi immediati (movimeno/riposo, ecc.) si trasforma in totalità ordinata di parti. I movimenti relativi della totalità dei corpi distinti gli uni dagli altri non alterano la fisionomia dell’insieme. È questa fisionomia dell’insieme che è disegnata dai modi infiniti mediati.

Prop. XXIII: Conclusione sui modi infiniti (immediati e mediati)

Omnis modus, qui & necessario, & infinitus existit, necessario sequi debuit, vel ex absoluta natura alicujus attributi Dei, vel ex aliquo attributo modificato modificatione, quæ & necessario, & infinita existit. Ogni modo che esiste necessariamente e come infinito ha dovuto seguire necessariamente o dalla natura assoluta di un attributo di Dio, o da un attributo modificato da una modificazione che esiste necessariamente e come infinita.

Ogni modo necessario e infinito segue necessariamente da un attributo preso assolutamente. Non ci sono altri modi infiniti e necessari che quelli definiti nelle proposizioni 21 e 22. Le proposizioni dal 21 al 23 saranno riprese nell’Appendice del De Deo, al fine di rigettare ogni concezione finalistica nell’agire divino: questa infatti avrebbe come conseguenza paradossale quella di rendere imperfetto ciò che è il più elevato e il più perfetto. Se Dio, in altri termini, creasse il mondo per conseguire certi fini, le cose da lui create dovrebbero essere considerate come meno perfette di quelle da conseguire come fine. Più una cosa ha bisogno per essere prodotta di cause intermedie, più è imperfetta.

A differenza di una teoria della creazione, che ha il problema del passaggio dall’infinito al finito, per Spinoza questa transizione non si pone. Da una parte, non c’è un inizio, a partire dal quale Dio abbia creato il mondo. Dall’altra parte, non c’è nemmeno emanazione dalla sostanza agli attributi, o dagli attributi ai modi infiniti o finiti: c’è sempre già del finito. I modi infiniti non sono presenti per spiegare come è stato creato il finito, ma per spiegare come avviene che i modi finiti esistano non per caso, ma secondo leggi rigorose. I modi infiniti sono così come le strutture attraverso le quali la sostanza si affetta essa stessa attraverso un’infinità di modi.

I modi finiti (prop. 24-28)

Le proposizioni dal 24 al 28 riguardano i modi finiti (più la proposizione 29, una conclusione generale per l’insieme 21-29, riguardante la natura naturata). I modi finiti sono le cose singole, che esistono attualmente (o no) nella durata. Queste proposizioni costituiscono, se vogliamo, il modo spinoziano di regolare il problema tradizionale della creazione, nella sua prospettiva immanentista. Spinoza, riguardo alle cose singolari, intende mostrare come sono (la loro essenza non implica l’esistenza) [prop. 24], come esistono (sono causati da Dio nello stesso senso in cui Dio causa se stesso) [prop. 25], in che modo operano [prop. 26 e 27] e infine le loro reciproche relazioni [prop. 28]. Come già detto, la prop. 29 funge da conclusione generale sulla natura naturata e, in particolare, mette in evidenza come in essa non vi sia alcuno spazio per la contingenza. È una conferma del determinismo assoluto universale e della sua integrale intelligibilità in via di principio. La Natura, nel suo insieme e nel suo dettaglio, è retta da una necessità inflessibile.

Prop. XXIV: L’essenza dei modi finiti non implica l’esistenza

Rerum a Deo productarum essentia non involvit existentiam. L’essenza delle cose prodotte da Dio non implica l’esistenza.

Le cose prodotte da Dio non sono causa di sé: la loro esistenza non deriva necessariamente dalla loro essenza, non esistono per la sola necessità della loro natura, presa in sé. Dio è causa della loro esistenza (e della loro preservazione nell’esistenza). Questo significa che le cose prodotte da Dio sono dei modi, non delle sostanze e nemmeno degli attributi o essenze della sostanza. Risalta netta la distanza dalla concezione tradizionale, che ritiene invece le “creature” delle sostanze. Anche l’uomo condivide lo statuto modale come ogni altra cosa esistente. Questo permetterà in seguito di provare che la loro potenza (capacità di produrre effetti nella durata) non è nient’altro che la potenza stessa di Dio determinata in un certo modo. (Eth. I, prop. 26) e che non ci sono propriamente parlando delle cause seconde.

Il corollario afferma che la causalità divina non si limita alla produzione istantanea della cosa, ma che questa produzione è continua; le cose prodotte da Dio, i modi, non possono né farsi esistere né sostenersi nell’esistenza. Lo sforzo per preservare è anche sforzo per produrre effetti: prefigurazione della dottrina del conatus.

Prop. XXV: Dio è causa di tutte le cose nello stesso senso in cui è causa di sé

Deus non tantum est causa efficiens rerum existentiæ, sed etiam essentiæ. Dio è causa efficiente non soltanto dell’esistenza, ma anche dell’essenza delle cose.

Il senso forte di questa proposizione è enunciato nello scolio: Dio è causa di tutte le cose nello stesso senso in cui è causa di sé. La causalità in Spinoza è univoca e il suo senso non è quello di causalità transitiva, ma di causalità immanente. La sostanza non può essere senza le sue affezioni né queste possono essere senza la sostanza. Essere causa di sé = essere causa delle affezioni di sé nella loro totalità. Cose particolari, modi finiti e affezioni di Dio sono modi diversi per dire la stessa cosa. Le cose particolari sono delle espressioni degli attributi di Dio, espressioni che si effettuano in un “certo e determinato modo”. Questa formula indica la finitezza, cioè la limitazione.

Prop. XXVI: L’operare dei modi finiti

Res, quæ ad aliquid operandum determinata est, a Deo necessario sic fuit determinata; &, quæ a Deo non est determinata, non potest se ipsam ad operandum determinare. Una cosa che è determinata a operare alcunché è stata così determinata necessariamente da Dio; e quella che non è determinata da Dio, non può determinare se stessa a operare.

Le proposizioni 26-27 enunciano le regole della produttività delle cose (e non più della loro produzione); regole attraverso le quali le cose singolari “commutano” la produttività divina operando. Esistere = produrre o operare (degli effetti, commutare l’agire divino). Agire è il nome della produttività sostanziale (infinita e libera). Operare è il nome della produttività modale (finita e costretta). Una cosa è causa per la potenza della causalità divina. Se non fosse causa per la potenza della causalità divina, non avrebbe abbastanza autonomia per produrre da sé un effetto.

Prop. XXVII: Necessità della produttività dei modi finiti

Res, quæ a Deo ad aliquid operandum determinata est, se ipsam indeterminatam reddere non potest. Una cosa che è determinata da Dio a operare alcunché non può rendere indeterminata se stessa.

Una cosa determinata dalla potenza divina deve produrre effetti. La potenza delle cose singolari è la potenza divina (enunciato reversibile). Il concorso divino non consiste in un aiuto o in un sostegno apportato dal di fuori alla potenza o all’azione propria delle creature, ma nella potenza o nell’azione stessa di Dio che la costituisce.

Prop. XXVIII: Le reciproche relazioni fra i modi finiti

Quodcunque singulare, sive quævis res, quæ finita est, & determinatam habet existentiam, non potest existere, nec ad operandum determinari, nisi ad existendum, & operandum determinetur ab alia causa, quæ etiam finita est, & determinatam habet existentiam: & rursus hæc causa non potest etiam existere, neque ad operandum determinari, nisi ab alia, quæ etiam finita est, & determinatam habet existentiam, determinetur ad existendum, & operandum, & sic in infinitum. Una cosa singolare qualsiasi, ossia qualunque cosa che è finita e ha un’esistenza determinata, non può esistere né essere determinata a operare, se non è determinata a esistere e a operare da un’altra causa che anch’essa è finita e ha un’esistenza determinata: e a sua volta questa causa non può esistere né essere determinata a operare se non è determinata a esistere e operare da un’altra che anch’essa è finita e ha un’esistenza determinata, e così via all’infinito.

Le cose singolari sono doppiamente determinate a produrre qualche effetto: la determinazione da Dio e la determinazione dalle cose esterne o ordine comune della natura. La determinazione dell’esistenza delle cose singolari le une dalle altre costituisce il modus operandi di Dio: una cosa singolare non può esistere che prendendo il suo posto necessario nel seno di una serie infinita di altre cose singolari. Mentre le essenze sono prodotte immediatamente e indipendentemente le une dalle altre, le esistenze non possono essere prodotte da Dio se non per la mediazione delle une con le altre. Così, questa determinazione attraverso le cause esterne finite appare come il modo in cui Dio produce delle esistenze finite. Qui si manifesta anche la differenza fra modi infiniti e modi finiti: i primi, eterni, sono prodotti dalla natura di un attributo presa assolutamente, mentre i secondi, esistenti nella durata, sono prodotti da questa natura affetta in modo finito (altrimenti si tratterebbe di un modo infinito mediato) dunque da altri modi finiti concepiti come instrumenta (ma in ultima istanza da Dio).

Un’essenza singolare, colta isolatamente, non può godere del diritto all’esistenza; le manca per questo un’infinità di determinazioni; essa tende ad attualizzarsi nella misura stessa in cui è concepibile, ma la vis exixtendi limitata di cui dispone non le permette di giungervi. L’essenza singolare riceve dall’esterno ciò che le manca per esistere; ancora da Dio, ben inteso, ma questa volta indirettamente: da Dio non più in quanto si manifesta in essa come il suo naturante interno, ma in quanto si manifesta in tutte le altre essenze singolari. Questo stabilisce un determinismo universale: questa reciproca causalità delle cose singolari, intesa come il modus operandi della causalità divina, è ciò che assicura razionalità e soprattutto intelligibilità assolute all’universo delle esistenze finite. C’è una determinazione infinita e reciproca delle cose finite: ogni cosa particolare è a un tempo causa ed effetto, causa perché effetto, e questo all’infinito, cioè senza che sia possibile risalire a una causa prima (non causata) appartenente a questa rete modale. Detto diversamente, nessuna cosa particolare è causa senza essere anche e dapprima effetto, dunque causata.

Se Dio è causa prima per priorità, non è causa prima come anteriorità, alla stregua del motore primo aristotelico o come nel Dio di Cartesio. Nessuna cosa singolare è causata direttamente né dalla natura di un attributo, né dai modi infiniti (da questi tutti non può risultare che dell’infinito): nessuna produzione del finito dall’infinito o a partire da esso (ma solo e sempre nell’infinito); nessuna deduzione del finito a partire dall’infinito (tranne nel senso in cui il finito si produca secondo le leggi dei modi infiniti); i modi infiniti non producono questo o quel modo finito particolare, ma solo le leggi o sistemi di produzione dei modi finiti in generale, nel loro insieme.

Bisogna liberarsi dall’idea di una catena di modi finiti il cui primo anello sarebbe sospeso ai modi infiniti. Nell’Etica non c’è per le cose particolari una deduzione a partire dai modi infiniti come se queste cose ne costituissero degli effetti separati: infatti, la realtà di tutte queste cose è immediatamente compresa nei modi infiniti considerati secondo le loro due forme: immediata e mediata. Ogni cosa singolare può produrre gli effetti della produttività divina solo perché è messa in moto da un’altra cosa singolare e così via, all’interno di un’intera rete modale, in quanto essa ha un posto nell’ordine causale necessario. Ogni evento finito è causato da un evento finito precedente e nello stesso tempo dalla natura dell’estensione (sotto forma di movimento/quiete) presa come totalità. Naturalmente il sistema delle leggi non esiste separatamente dalla moltitudine infinita delle sue istanze; il sistema delle leggi non è altra cosa dall’insieme degli eventi finiti in quanto costituiscono un ordine. Non c’è quindi che una sola causalità, rappresentabile in due modi, come sistema e come dettaglio.

Spinoza esclude che una cosa singolare/finita possa essere prodotta (determinata a esistere e a produrre effetti) dalla natura assoluta di un attributo di Dio, poiché da questa natura non possono seguire che modi infiniti ed eterni. Una cosa singolare/finita non può neppure seguire dalla natura divina in quanto già affetta da un modo infinito (immediato): poiché da questa natura così affetta (= modo infinito immediato) non può seguire altro che un modo infinito (= modo infinito mediato), per la prop. 22. Dunque una cosa singolare non può essere determinata a esistere e a produrre effetti che da un modo finito avente un’esistenza determinata.

Va stabilita una determinazione reciproca infinita delle cose singolari fra loro. Da ciò è dedotto l’ordine comune della Natura, contenuto del modo infinito mediato. Spinoza riafferma l’impossibilità di una produzione del finito a partire dall’infinito, il che implica, per ogni cosa finita e determinata, la necessità di essere prodotta non assolutamente ma relativamente, dunque in rapporto con un’altra cosa finita, essa stessa prodotta nello stesso modo. I rapporti di necessità che legano le cose particolari fra loro sono relativi, sono rapporti essi stessi finiti, limitati, parziali, non bastando mai, anche addizionandoli, a ricostituire l’ordine di necessità assoluta della natura divina. Senza che questo implichi in nessun modo una reintroduzione della contingenza nel mondo.

Nello scolio si ha un uso insolito di causa prossima e causa remota (terminologia scolastica): Dio non può essere detto causa remota se non nel senso in cui le cose singolari non seguono immediatamente da Dio, ma mediatamente; nel senso forte di “prossima”, Dio è causa prossima di tutto; tuttavia, nel senso debole, Dio può essere detto causa “remota”; è un altro modo per dire che Dio è causa immanente (sempre prossima) e non transitiva (remota). Gli effetti sono nella loro causa; questa causa non può essere propriamente detta “remota” da essi.

Conclusione (Prop. 29)

Prop. XXIX: Negazione di ogni contingenza

In rerum natura nullum datur contingens, sed omnia ex necessitate divinæ naturæ determinata sunt ad certo modo existendum, & operandum. Nella natura non si dà nulla di contingente, ma tutto è determinato dalla necessità della natura divina a esistere e a operare in una certa maniera.

Questa proposizione trae la conseguenza generale delle proposizioni 21-28 per ciò che riguarda la Natura naturata. La dimostrazione consiste nell’annodare insieme i risultati acquisiti. Così l’insieme delle cose della natura naturata è determinato da tutti i punti di vista concepibili, quanto all’esistenza e quanto alla potenza, ed è di conseguenza assolutamente necessario, nella sua totalità come nel suo dettaglio, nella e dalla necessità di Dio. Non c’è che del necessario o dell’impossibile (lato negativo del necessario); nessun possibile o contingente; al necessario non si oppone il contingente (non essendo la contingenza nelle cose, ma solo nel nostro spirito, per l’ignoranza della totalità delle cause), ma l’impossibile (ciò che non può essere determinato a esistere e a operare in alcun modo). Esistere significa produrre effetti, cioè essere determinato dalla necessità della natura divina. Negare la contingenza significa negare che esistano delle cose senza causa, ma anche che esistano delle cose senza effetti. Tutto è preso in una catena di causa-effetto.

Nello scolio viene ribadito il tema principale dell’ontologia spinoziana: la natura naturante è la sostanza divina, la natura naturata l’insieme dei modi infiniti e finiti.

Un pensiero riguardo “6 – Analisi dell’Etica di Spinoza. Etica I: La natura naturata – (Proposizioni 21-29)

Scrivi una risposta a Mario R Cancella risposta